FISCO, NEL PROGRAMMA DEL DESTRA CENTRO RISPUNTA IL SALDO E STRALCIO: SARÀ LA VOLTA BUONA?

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Il trio Meloni Salvini Berlusconi stila il programma ufficiale della coalizione accreditata come la vincitrice delle elezioni politiche anticipate del 25 settembre. Obiettivo è sanare una volta per tutte un pregresso che affligge 20 milioni di contribuenti italiani e fa della questione fiscale un’autentica questione sociale non circoscritta ai soli 4 milioni di partite Iva presenti nel nostro Paese, ma allargata a tutti i ceti e le categorie sociali

Il punto però è procedurale, altrimenti dallo stretto enunciato politico non si esce.

La questione fiscale nasce nel 2005, con il governo Berlusconi allora in carica, il quale nella imminenza delle elezioni che si sarebbero svolte nella primavera del 2006 approvò un primo provvedimento di cornice che prevedeva il riordino in senso unificante del sistema della riscossione tributaria in precedenza suddiviso tra una molteplicità di concessionari territoriali e agenti locali per la esazione di imposte, tasse, diritti governativi e sanzioni.

Si trattava dei prossimi della nascita di Equitalia, che si sarebbe strutturata come ente unico esattore tra il 2006 e il 2008 nel corso del governo Prodi di centrosinistra con la nomina di Attilio Befera, che nel successivo Esecutivo nuovamente di centrodestra guidato dal Cavaliere di Arcore viene confermato in tale incarico riassumendo in sé il contestuale ruolo di direttore dell’agenzia delle entrate.

In pratica, il soggetto di accertamento e l’agenzia di riscossione vengono unificati a livello personale: il ministro artefice di una tale manovra è Giulio Tremonti, del governo fanno parte Giorgia Meloni come Ministra delle politiche giovanili e Umberto Bossi come leader della lega e ministro delle riforme.
Arriviamo al 2011, la speculazione internazionale contro i nostri titoli di Stato si fa incalzante, e il governo Berlusconi, per inviare un segnale ai mercati di volontà di riordino delle finanze pubbliche e di rigore, porta in approvazione un decreto che introduce il mostruoso istituto giuridico dell’accertamento esecutivo: in sostanza, già in fase di definizione (presunta) della pendenza fiscale contestata al contribuente, specialmente aziendale, possono essere utilizzati mezzi dissuasivi come blocchi, ganasce, fermi e pignoramenti. L’idea è del ministro Tremonti, allora esponente di forza Italia molto vicino alla lega.

La risposta degli elettori non si fa attendere, e il centrodestra viene sconfitto a Milano.

Nell’autunno del 2011, il Cav cede lo scettro ai tecnici di Mario Monti, rettore della Bocconi, con la benedizione del capo dello Stato Giorgio Napolitano. Il governo di salvezza nazionale, sostenuto da una coalizione tra PdL di centrodestra e PD, vara il decreto salva Italia al quale si accompagna la legge Fornero, che mette in soffitta la legge Dini in materia previdenziale fino a quel momento di fatto vigente fin dal 1995, pur con i correttivi nel frattempo introdotti dai vari ministri del lavoro di destra e di sinistra, da Maroni e Damiano.

Molti tendono ad additare Mario Monti come il simbolo della più feroce austerità, ma è proprio sotto il suo governo che viene varata la cosiddetta legge salva suicidi, la numero 3 del 2012, che consente a persone fisiche e imprese non soggette al diritto fallimentare di attivare piani del consumatore per l’ottenimento di atti giudiziali di esdebitazione o di esdebitamento, in pratica di cancellazione o abbattimento dei debiti di natura finanziaria, fiscale e contributiva altrimenti insostenibili.
Una norma poco conosciuta – anche perché sono gli stessi enti pubblici impositori ed esattori a non avere interesse a promuoverla – eppure utilissima per chi riesce ad accedervi, in quanto consente di stralciare le pendenze arretrate e di ottenere la riabilitazione per riprendere l’attività lavorativa e riaprire conto bancari.

A Monti subentra un altro Governo PdL PD a guida Enrico Letta, che introduce alcune limitazioni ai poteri di Equitalia, in tema soprattutto di non pignorabilità della prima casa, la quale al più può venire ipotecata ma non defraudata dall’erario.

Siamo oramai nel 2014, Letta viene sfiduciato dallo stesso PD al cui vertice Renzi è per intanto subentrato a Bersani e assume con il consenso di Napolitano la guida di palazzo Chigi.
Prima di dimettersi a causa della sconfitta al referendum costituzionale di fine 2016, Renzi vara un decreto nel quale Equitalia viene formalmente abolita e i poteri esattoriali passano all’agenzia delle entrate che diventa anche di riscossione, alla cui direzione viene indicato il renziano Ernesto Ruffini tuttora in carica.

Dopo la parentesi di Gentiloni, nell’estate del 2018, dopo l’esito delle Politiche in cui a prevalere sono centrodestra e populisti Grillini, a palazzo Chigi arriva Giuseppe Conte, il quale vara un decreto fiscale che nuovamente interviene sulla materia della riscossione aumentando i poteri della guardia di finanza nei confronti dei conti correnti e introducendo qualche limitata misura di rottamazione delle cartelle esattoriali che non si tramuta in pace fiscale, sebbene di quel Governo il Vicepremier assieme a di Maio sia Matteo Salvini leader leghista del dopo Bossi.

Le rottamazioni si susseguono da allora e fino a oggi, traducendosi in un ingorgo di cartelle a seguito dei provvedimenti di sospensiva varati dal governo Conte bis (fuori la Lega, dentro il PD) per agevolare le imprese economicamente devastate dalla pandemia.

A proseguire le politiche tese al pagamento agevolato delle pendenze fiscali è l’attuale governo di Mario Draghi, di ex unità nazionale, il quale però nei giorni scorsi ha lasciato scoperti oltre 300.000 contribuenti nei confronti dei quali agenzia entrate riscossione potrebbe avviare immediate azioni conservative di fermo, blocco e pignoramento con buona pace… della pace fiscale.
Sarà su di essi che il programma del centrodestra dovrà iniziare a dispiegare i propri enunciati effetti benefici.

Che cosa prevede la coalizione Meloni Salvini Berlusconi sul tema del fisco equo? Viene citato espressamente il termine saldo e stralcio per il risanamento delle pendenze pregresse.
In termini procedurali, non viene dettagliato come esso avverrà: nella propria relazione finale alle Camere, prima delle dimissioni, Draghi ha dichiarato che agenzia entrate riscossione ha crediti per un totale di 1100 miliardi, di cui soltanto il 6 per cento, ossia una settantina di miliardi, può essere effettivamente recuperato alle casse pubbliche. Logica vorrebbe che il saldo e stralcio proponesse una tale aliquota mediana, affinché i contribuenti possano siglare un rinnovato patto con lo Stato, apportare risorse di importo pari a due leggi finanziarie e di stabilità e consentire a patrimoni e redditi, oggi bloccati o sommersi, di tornare a circolare nell’economia legale a beneficio dello sviluppo, degli investimenti, dei consumi e del lavoro.

Questo si armonizza con l’altro punto del programma del destra centro che prevede il diritto, per tutti gli italiani, di disporre di un conto corrente svincolato, poiché allo stato attuale un contribuente non riabilitato non ha neppure questo diritto.

Come si è arrivati però a questo punto? Nessuno lo dice in nessun programma, ma esiste tra ministero dell’economia e delle finanze, in sigla MEF, e agenzia entrate riscossione una convenzione triennale che fissa budget, livelli minimi di somme che devono essere accertate e quindi contestate al contribuente nel corso di ogni anno e le conseguenti azioni esecutive per esigere tali pretese. In pratica, più un funzionario dell’agenzia delle entrate produce accertamenti, più viene premiato per il risultato.

Dopo di che, il contribuente ha poche scelte davanti a sé: o optare per la rottamazione, o avviare un contenzioso tributario o aderire alla legge 3 del 2012 e successive modifiche e integrazioni.

Basterebbe annullare quella convenzione per consentire una vera pace fiscale e mettere fine allo stillicidio in atto: il fatto che nessun partito o schieramento lo preveda, lascia intendere che la tanto declamata pace fiscale alla fine si rivelerà una fragile, fragilissima tregua.

Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI