Le rilevazioni di Ministero e Banca d’Italia fanno giustizia di otto anni di inutile austerità, del tutto sfatata dalla pandemia prima e dalla guerra in Ucraina poi che hanno reso necessaria la sospensione del fiscal compact e del patto di stabilità (molta) e crescita (poca)
Dal 2013 a oggi, il debito pubblico italiano è cresciuto di settecento miliardi.
Sì, avete letto bene: 700 miliardi di euro. A giugno 2013, il passivo dello Stato ammontava a poco più di 2075 miliardi di euro; aggiornato allo scorso mese di giugno di quest’anno, esso risulta essere di poco superiore a 2766 miliardi, con un andamento di crescita sia tendenziale che congiunturale.
Si tratta di due numeri che, se comparati fra di loro, certificano il fallimento di una linea di politica economica e finanziaria perseguita in maniera ortodossa e didattica almeno fino alla vigilia dello scoppio della prima ondata di coronavirus.
Ancora più emblematica è la chiave di tendenza che si ricava disarticolando e scomponendo il dato che ha concorso all’aumento dell’ultimo periodo di osservazione: vale a dire, una maggiore propensione a contrarre debiti da parte dello Stato centrale, e di contro una minore inclinazione a indebitarsi da parte delle amministrazioni locali, che pure nel corso dello stesso periodo hanno sostenuto il contributo più gravoso nello sforzo di risanamento delle finanze statali e di conseguimento dei parametri europei in tema di deficit, a fronte di un andamentale praticamente opposto a livello romano.
Molto chiaramente, la lievitazione del tasso di inflazione e dei tassi di interesse disposti dalla Banca centrale europea determineranno inevitabili effetti di tipo rialzista nei confronti del debito pubblico generale, in uno con l’aumento delle cosiddette disponibilità liquide del ministero del tesoro, quest’ultimo in pratica il conto corrente sul quale confluisce la quasi totalità delle entrate e delle uscite statali, con il saldo corrispondente al fabbisogno da finanziare con l’emissione di nuovi titoli pluriennali, BTP, per evitare che lo stesso scenda al di sotto del livello di guardia fissato fin dal 1993 quando detto conto di tesoreria venne per la prima volta istituito.
La maggiore assoggettabilità del nostro debito pubblico alla spirale inflazionistica è del resto determinata dalla brevità della durata residua media dei BTP, pari a poco più di 7 anni, un indicatore che contravviene alle raccomandazioni europee e alle stesse linee guida del Tesoro le quali fin dal 2013 promettevano un allungamento di tale arco pluriennale.
Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI




