L’eroe della lotta al terrorismo negli anni settanta, il prefetto dei cento giorni nella Palermo degli anni ottanta abbandonata dallo Stato, venne assassinato da cosa nostra il 3 settembre di 40 anni fa in un vile attentato in cui egli morì assieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo
Il generale Dalla Chiesa fu il massimo ufficiale dell’arma dei carabinieri, ruolo e grado nel quale riuscì nell’obiettivo di estirpare e sconfiggere la violenza terroristica rossa e nera che teneva sotto scacco il Paese e che era esplosa dopo il 1970 e faceva proseliti nelle fabbriche e nelle università sfruttando le grandi agitazioni sociali, culturali e sindacali sorte a seguito delle contestazioni del 1968.
Egli comprese per primo quanto fosse necessario dare vita a gruppi investigativi specializzati in grado di insinuarsi nelle falle delle bande stragiste e di favorire fenomeni come la dissociazione e il pentitismo. Le modalità di indagine introdotte nel contrasto alle brigate rosse permisero altresì di aggredire il polmone economico finanziario dell’organizzazione, e in tal modo creò una serie di importanti precedenti operativi e metodologici che sarebbero successivamente stati utilizzati, nel corso degli anni ottanta, per avviare e condurre con incisività la lotta alla criminalità mafiosa.
Tuttavia, la sostanziale differenza tra il terrorismo e la mafia, che il Generale avrebbe scoperto a proprie spese solo sul campo, stava nel fatto che mentre il primo fenomeno era esterno ed estraneo agli apparati dello Stato, le organizzazioni mafiose assimilabili a cosa nostra siciliana erano oramai entrate in settori chiave delle pubbliche istituzioni e amministrazioni, condizionandone in senso deviante e corruttivo l’azione in tema di concessioni e appalti e indebolendo in tal modo l’azione di contrasto, la quale restava appannaggio di alcuni isolati servitori statali.
La tragica conferma di ciò si ebbe il tre settembre del 1982 in via Carini, dove la vettura A 112 guidata da Emanuela Setti Carraro, con accanto il marito Carlo Alberto Dalla Chiesa, e seguita dall’auto di servizio dell’agente Russo, venne raggiunta e crivellata di colpi da un commando mafioso commissionato da Totò Riina, Bernardo Provenzano e Nitto Santapaola. Per la prima volta, la malavita organizzata siciliana aveva agito congiuntamente, palermitani e corleonesi alleati ai catanesi, proprio come il Generale aveva lasciato intendere in una storica intervista rilasciata soltanto pochi giorni prima al giornalista cuneese Giorgio Bocca.
Di Carlo Alberto Dalla Chiesa rimane il ricordo di un uomo che rappresentò fino all’ultimo, con coraggio, orgoglio e dignità, quelle Istituzioni statali che lo avevano abbandonato e lasciato senza i promessi poteri speciali – “Sono qui a Palermo davanti a un telefono che non squilla mai e con gli stessi poteri del prefetto di Forlì” – e per questo vogliamo ricordarlo attraverso una citazione bellissima che egli pronunciò appena insediato nel capoluogo siciliano in occasione dei funerali del leader comunista antimafia Pio La Torre: “Se esiste un potere, esso è solo quello delle istituzioni, dello Stato e delle sue leggi, e non possiamo delegarlo né ai criminali, né ai delinquenti, né ai disonesti”.
Grazie, Generale, per averci insegnato che anche e proprio nei momenti più bui nessuno di noi può pensare di sostituire le istituzioni, ma ha semmai il compito di aiutarle a funzionare sempre meglio, iniziando ad attivarle ogni volta che sia necessario e che la legge lo preveda.
Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI




