Il commissario di Bruxelles all’economia Paolo Gentiloni assicura che il limite al prezzo sarà introdotto, ma il dibattito è sulla fissazione del differenziale e per intanto la federazione russa, tramite un annuncio di Gazprom, ha chiuso i rubinetti del gasdotto North stream con la prospettiva di rendere tardiva e inefficace qualsiasi provvedimento per contrastare i rincari energetici, che peraltro interverrebbe sei mesi dopo l’inizio dell’aggressione all’Ucraina
Il dibattito nei palazzoni di vetro della Commissione UE si sta svolgendo in un clima tutt’altro che sereno, come viene confermato dalle divergenze di vedute emerse tra Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo, e Ursula von der Leyen, a capo della Commissione. Secondo Michel, la fissazione di un limite invalicabile di listino – in gergo anglofono, price cap – oltre il quale il gas (piuttosto che il petrolio) dalla Russia non sarà più acquistato e ammesso nel territorio UE, rappresenta oramai una questione di credibilità. Essa, tuttavia, rischia di fermarsi soltanto a tale livello di simbolismo, poiché la “rapidità decisionale” invocata dal commissario Gentiloni al Forum di Cernobbio avrebbe imposto ben altre tempistiche, le stesse che nel 2020 in modo meritorio all’indomani dello scoppio della pandemia sanitaria portarono Bruxelles e tutti gli Stati dell’Unione a mettere in campo il recovery fund e a introdurre per la prima volta una forma di mutualizzazione dei debiti pubblici nazionali.
Proprio quello che non è accaduto alla fine di febbraio di quest’anno: le sanzioni commerciali e finanziarie, una volta comminate, dispiegano nei confronti del sanzionato, in questo caso il regime di Putin, degli effetti recessivi molto differiti nel tempo, mentre fin dal principio si sarebbe dovuto partire da misure come l’unificazione delle centrali di acquisto e di approvvigionamento del gas e del petrolio, la sospensione della Borsa delle quotazioni di Amsterdam (Paesi Bassi) e, appunto, la determinazione di un prezzo massimo oltre il quale rifiutare l’arrivo di idrocarburi da Mosca.
Rispetto a ciascuna di tali ipotesi di lavoro, si è viceversa palesata la più grave divisione tra i Paesi dell’Unione, con la conseguenza di interventi limitati a forme di embargo commerciale e bancario e all’invio di forniture militari al governo ucraino; mentre le determinazioni sul fronte della lotta ai rincari sono state di fatto demandate alle capacità di bilancio dei singoli Governi nazionali, senza che questi ultimi possano disporre delle stesse forme di mutualizzazione solidale messe in campo nel 2020 e che consentirono di opporre uno scudo alle inevitabili speculazioni.
In attesa del voto parlamentare anticipato del 25 settembre, e dell’insediamento del prossimo Esecutivo (indicato di centrodestra dai sondaggi e a guida Meloni), dal momento che il premier uscente Mario Draghi, di fatto in carica sino a fine ottobre, ha escluso la possibilità di procedere a ulteriori scostamenti di bilancio – circostanza che sarebbe possibile solo nel caso di un consenso unanime all’interno del disciolto Parlamento e che viene resa impervia proprio dall’assenza di meccanismi europei di mutualità -, la via per evitare la disfatta sociale ed economica autunnale di un altissimo numero di famiglie e imprese è una sola: stabilire nell’immediato una rateizzazione e dilazione temporale delle bollette e, nello stesso tempo, rivedere, con effetto retroattivo dall’inizio dell’ondata rialzista, i sistemi di calcolo tariffario separando il prezzo dell’energia prodotta con il gas da quello dell’elettricità prodotta con le fonti rinnovabili, il che consentirebbe di calmierare quest’ultimo incentivando il maggiore ricorso a impianti green in ambito domestico e aziendale.
Occorre inoltre riscrivere la norma, in pratica disapplicata dalle stesse società di gestione dell’energia, che prevede l’applicazione di una tassazione straordinaria su parte degli extra-profitti accumulati per effetto dell’aumento delle bollette: il Governo deve esercitare in pieno il proprio ruolo di azionista strategico di enti come Enel ed Eni – e allo stesso modo le amministrazioni locali nei confronti delle società partecipate nel medesimo settore – stabilendo un vincolo di destinazione per questo accumulo straordinario di utili, derivanti non da capacità manageriali o tecnologiche ma soltanto da andamenti eccezionali nelle quotazioni della materia prima, a favore di uno o più fondi, nazionale e locale, per la riduzione drastica dell’onere finale alle utenze familiari e produttive.
Su quest’ultimo versante, l’ultima rilevazione condotta dalla confederazione Cgia di Mestre Venezia è impietosa: sul sistema delle imprese italiane sta per abbattersi, su base annua, una bolletta da 106 miliardi di euro. Questo perché, tra il momento della prima importazione di gas e quello del suo utilizzo al dettaglio, si verificano troppi passaggi, a carattere commerciale, finanziario e fiscale, che già prima dello scoppio del conflitto russo ucraino portavano alla formazione di valori abnormi e in alcun modo non giustificabili dall’andamento dell’offerta di idrocarburi.
Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI




