Considerando la dottrina sociale della Chiesa sul governo dell’immigrazione, va anzitutto osservato che essa, pur essendosi sviluppata in un arco di tempo ormai piuttosto lungo , non sembra aver conosciuto marcate discontinuità nel suo definirsi
Man mano nel tempo è andata sempre più articolandosi – attraverso un gran numero di documenti su diversi temi, non essendocene, si noti, nessuno specificamente sul governo dell’immigrazione – rimanendo però sempre costante nell’essenziale. Perciò non la si esporrà seguendo un ordine cronologico, bensì se ne proporrà una ricostruzione in termini di proposizioni chiave.Alla base troviamo l’affermazione della sussistenza di un diritto di immigrare (parte di un più ampio diritto di migrare comprensivo anche di quello di emigrare).
Esso, si noti, non viene ravvisato solo in capo a quanti sono protetti dalla Convenzione di Ginevra e nemmeno solo in capo a coloro che fuggono da situazioni, comunque, di particolare difficoltà , essendo invece esteso a chiunque sia alla ricerca di migliori opportunità di vita (Pacem in terris, 1963, 12; Fratelli tutti, 45), ed è configurato anche come un diritto della famiglia per lo meno al ricongiungimento.L’affermazione della sussistenza di tale diritto confligge in linea di principio con la posizione degli Stati che hanno adottato orientamenti restrittivi ritenendosi in generale liberi di “dire di no” all’immigrazione contrastando persino l’arrivo dei richiedenti asilo e non di rado anche al ricongiungimento familiare.
Non vi è una tale libertà, secondo la dottrina sociale.
Non è accettabile, ad esempio, “che mentre in qualsivoglia luogo la terra offre abbondanza, per motivi non sufficienti e per cause non giuste ne venga impedito l’accesso a stranieri bisognosi“.Talvolta l’affermazione del diritto in questione viene esplicitamente collegata all’esigenza di almeno limitare le tragedie e le situazioni, comunque, di degrado legate all’immigrazione irregolare offrendo canali legali .Altro però è il fondamento del diritto.
Esso, secondo un’idea lontana dal sentire degli Stati che ragionano in termini di ricchezza “propria”, viene ravvisato nell’appartenenza comune dei beni della terra (in generale indicata dal Catechismo). Dio “ha creato tutte le cose in primo luogo ad utilità di tutti” perciò, di regola, non va “impedito l’accesso a stranieri bisognosi” perché “ogni Paese è anche dello straniero” (Fratelli tutti, 124).l diritto di immigrare non è però secondo la dottrina sociale incondizionato quanto al suo esercizio. Gli Stati non sono liberi di “dire di no” all’immigrazione, ma possono limitarla in determinate situazioni secondo una logica di bilanciamento.Nel Catechismo si parla di un dovere di accogliere “nella misura del possibile” (2241). Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004) si parla di una “regolazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio” (298).
Quali siano le situazioni che possono condurre a limitazioni e come debba essere fatto il bilanciamento non è specificato dalla dottrina sociale. In essa vi sono però indicazioni importanti a riguardo.Vanno in ogni caso attentamente considerati i vantaggi, oggi trascurati invece dagli Stati, dell’immigrazione che “può essere una risorsa” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 297) non solo perché i lavoratori stranieri “recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite” , ma anche più ampiamente perché gli immigrati per le comunità in cui si inseriscono “sono un’opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale” .
Ciò fermo restando il valore della gratuità che deve portare ad “accogliere lo straniero, anche se al momento non porta un beneficio tangibile” (Fratelli tutti, 2020, 139).Dopo di che, in generale, per l’individuazione delle situazioni atte a giustificare limitazioni e per i termini del conseguente bilanciamento ci si deve riferire al bene comune che, si noti, va considerato, diversamente da quanto fanno gli Stati, con riguardo all’intera famiglia umana .
Perciò, tra l’altro, non si può ragionare, come invece spesso fanno gli Stati, in termini di mera difesa della propria prosperità o della propria sicurezza attraverso l’esclusione degli altri .In concreto, le indicazioni sembrano condurre a un orientamento, diverso da quello comunemente adottato dagli Stati, secondo il quale l’immigrazione dovrebbe essere limitata solo in relazione al rischio concreto di avere, a seguito di essa, una situazione tale per cui il bene comune di cittadini e immigrati sarebbe effettivamente pregiudicato.
Com’è emerso, non per questo o quell’aspetto, ma nel suo insieme la dottrina sociale sul governo dell’immigrazione appare tendenzialmente antitetica all’orientamento degli Stati: appartenenza comune dei beni vs “egoismo nazionale”; diritto di immigrare vs libertà di chiudere le frontiere; immigrazione come opportunità vs immigrazione come minaccia; bilanciamento secondo il bene comune dell’intera famiglia umana vs bilanciamento secondo l’interesse statuale.
ERMINIO BRAMBILLA – UNIONE CATTOLICA



