VATICAN NEWS
Bisogna dialogare, sempre. Sul volo di ritorno a Roma Papa Francesco risponde alle domande dei giornalisti che lo hanno accompagnato in Kazakhstan e torna a parlare della guerra in Ucraina, del diritto alla difesa, del traffico delle armi. Ma parla anche del ruolo della politica e dell’Occidente in crisi di valori che rischia di generare populismi. Rispondendo a una domanda sulla situazione in Germania, Francesco spiega che alla Chiesa servono pastori, non piani pastorali. All’inizio della conferenza stampa il Papa ha fatto gli auguri di buon compleanno alla giornalista di Avvenire Stefania Falasca e ha poi fatto servire una torta per festeggiarla.
“Buon giorno Santo Padre. Grazie mille per la sua visita in Kazakhstan, qual è il risultato della sua visita, alle origini del nostro popolo, che cosa l’ha ispirata?”
«Per me è stata anche una sorpresa. Perché io davvero dell’Asia centrale – tranne la musica di Borodin – non conoscevo nulla. È stata una sorpresa trovare i rappresentanti di queste nazioni. E pure il Kazakhstan è stato davvero una sorpresa perché non me lo aspettavo così. Sapevo che è un Paese, è una città, che si è sviluppato bene, con intelligenza. Ma trovare dopo trenta anni dall’indipendenza uno sviluppo così, non me lo aspettavo. Poi un Paese così grande, con diciannove milioni di abitanti… Da non crederci. Molto disciplinato, e bello. Con tante bellezze: l’architettura della città ben bilanciata, ben sistemata. Una città moderna, una città direi forse “del futuro”. È questo che mi ha colpito tanto: la voglia di andare avanti non solo nell’industria, nello sviluppo economico e materiale, ma anche nello sviluppo culturale. È stata una sorpresa che non mi aspettavo. Poi il congresso… una cosa molto importante. È alla settima edizione. Il che vuol dire che è un Paese con lungimiranza, che fa dialogare quelli che di solito sono scartati. Perché c’è una concezione progressista del mondo per cui la prima cosa che si scartano sono i valori religiosi. È un Paese che si affaccia al mondo con una proposta del genere… sette volte già fatto, è meraviglioso! Poi se c’è tempo tornerò su questo incontro interreligioso. Lei può essere orgogliosa del Paese e della Patria che ha.
“Santo Padre grazie per il suo messaggio di pace, io sono tedesco come si sente dal mio accento. Il mio popolo è responsabile di milioni di morti ottant’anni fa. Vorrei fare una domanda sulla pace, visto che il mio popolo è responsabile per milioni di morti, noi a scuola impariamo che non si devono mai usare armi, mai violenza: l’unica eccezione è l’autodifesa. Secondo lei in questo momento bisogna dare le armi all’Ucraina?”
«Questa è una decisione politica, che può essere morale, moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità, che sono tante e poi possiamo parlarne. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere le armi o di scartare quelle armi che a me non servono più. La motivazione è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama. Qui si tocca un’altra cosa che io ho detto in uno dei miei discorsi, e cioè che si dovrebbe riflettere più ancora sul concetto di guerra giusta. Perché tutti parlano di pace oggi: da tanti anni, da settant’anni le Nazioni Unite parlano di pace, fanno tanti discorsi di pace. Ma in questo momento quante guerre sono in corso? Quella che lei ha menzionato, Ucraina-Russia, adesso Azerbaijan e Armenia che si è fermata un po’ perché la Russia è uscita come garante, garante di pace qui e fa la guerra lì… Poi c’è la Siria, dieci anni di guerra, che cosa succede lì che non si ferma? Quali interessi muovono queste cose? Poi c’è il Corno d’Africa, poi il nord del Mozambico o l’Eritrea e una parte dell’Etiopia, poi il Myanmar con questo popolo sofferente che io amo tanto, il popolo Rohingya che gira, gira e gira come uno zingaro e non trova pace. Ma siamo in guerra mondiale, per favore… Io ricordo una cosa personale, da bambino, avevo nove anni. Ricordo che si sentì suonare l’allarme del giornale più grande di Buenos Aires: in quel tempo per festeggiare o dare una brutta notizia, suonava quello – adesso non suona più – e si sentiva in tutta la città. La mamma ha detto: “Ma che cosa succede?” Eravamo in guerra, anno 1945. Una vicina viene a casa a dirci: “Ha suonato l’allarme…” e piangeva, “è finita la guerra!”. E io oggi vedo mamma e la vicina che piangevano di gioia perché era finita al guerra, in un Paese sudamericano, così lontano! Queste donne sapevano che la pace è più grande di tutte le guerre e piangevano di gioia quando è stata fatta la pace. Non lo dimentico. Io mi domando: non so se oggi noi siamo con il cuore educato per piangere di gioia quando vediamo la pace. Tutto è cambiato. Se non fai guerra, non sei utile! Poi c’è la fabbrica delle armi. Questo è un negozio assassino. Qualcuno che capisce le statistiche mi diceva che se si smettesse per un anno di fare le armi si risolverebbe tutta la fame nel mondo… Non so se è vero o no. Ma fame, educazione… niente, non si può perché si devono fare le armi. A Genova alcuni anni fa, tre o quattro anni fa, è arrivata una nave carica di armi che doveva trasferirle in una nave più grande che andava in Africa, vicino al Sud Sudan. Gli operai del porto non hanno voluto farlo, gli è costato, ma hanno detto: “Io non collaboro”. È un aneddoto ma che fa sentire una coscienza di pace. Lei ha parlato della sua Patria. Una delle cose che ho imparato da voi è la capacità di pentirsi e chiedere perdono per gli errori di guerra. E anche, non solo chiedere perdono, ma pagare gli errori di guerra: questo dice bene di voi. È un esempio che si dovrebbe imitare. La guerra in sé stessa è un errore, è un errore! E noi in questo momento stiamo respirando quest’aria: se non c’è guerra sembra che non c’è vita. Un po’ disordinato ma ho detto tutto quello che volevo dire sulla guerra giusta. Ma il diritto alla difesa sì, quello sì, ma usarlo quando è necessario».
Sylwia Wysocka, PAP
“Santo Padre, Lei ha detto: non possiamo mai giustificare la violenza. Tutto quello che succede in Ucraina adesso è la pura violenza, morte, la distruzione totale da parte della Russia. Noi in Polonia abbiamo la guerra così vicina alle nostre porte, con due milioni di profughi. Vorrei chiedere se secondo lei c’è una linea rossa oltre la quale non si dovrebbe dire: siamo aperti al dialogo con Mosca. Perché tanti hanno delle difficoltà a capire questa disponibilità. E vorrei anche chiedere se il prossimo viaggio sarà a Kiev”
«Io risponderò a questo, ma preferirei che prima si facessero le domande sul viaggio… Credo che sia sempre difficile capire il dialogo con gli Stati che hanno incominciato la guerra, e sembra che il primo passo è stato da lì, da quella parte. È difficile ma non dobbiamo scartarlo, dobbiamo dare l’opportunità del dialogo a tutti, a tutti! Perché sempre c’è la possibilità che nel dialogo si possano cambiare le cose, e anche offrire un altro punto di vista, un altro punto di considerazione. Io non escludo il dialogo con qualsiasi potenza, che sia in guerra, che sia l’aggressore… delle volte il dialogo si deve fare così, ma si deve fare, “puzza” ma si deve fare. Sempre un passo avanti, la mano tesa, sempre! Perché al contrario chiudiamo l’unica porta ragionevole per la pace. Delle volte non accettano il dialogo: peccato! Ma il dialogo va fatto sempre, almeno offerto, e questo fa bene a chi lo offre; fa respirare».
Loup Besmond de Senneville, LA CROIX
“Santità, grazie mille per questo questi giorni in Asia centrale. Durante questo viaggio si è parlato molto di valori e di etica, in particolare durante il Congresso interreligioso è stata evocata, da alcuni leader religiosi, la perdita dell’Occidente a causa del suo degrado morale. Quale è la sua opinione su questo? Lei considera che l’Occidente sia in uno stato di perdizione, minacciato dalla perdita dei suoi valori? Penso in particolare al dibattito che c’è sull’eutanasia, sul fine vita, un dibattito che c’è stato in Italia, ma anche in Francia e in Belgio.
«È vero che l’Occidente, in genere, non è in questo momento al livello più alto di esemplarità. Non è un bambino di prima comunione, no davvero. L’Occidente ha preso strade sbagliate, pensiamo per esempio l’ingiustizia sociale che è tra noi, ci sono dei Paesi che sono sviluppati un po’ sulla giustizia sociale, ma io penso al mio continente, l’America Latina che è Occidente. Pensiamo anche al Mediterraneo, che è Occidente: oggi è il cimitero più grande, non dell’Europa, ma dell’umanità. Cosa ha perso l’Occidente per dimenticarsi di accogliere, quando invece ha bisogno di gente. Quando si pensa all’inverno demografico che noi abbiamo: c’è bisogno di gente: sia in Spagna – in Spagna soprattutto – anche in Italia ci sono paesi vuoti, soltanto venti vecchiette lì, e poi niente. Ma perché non fare una politica dell’Occidente dove gli immigrati siano inseriti con il principio che il migrante va accolto, accompagnato, promosso e integrato? Questo è molto importante, integrare, ma invece “no” si lasciano vuote le cose. È una mancanza nel capire i valori, quando l’Occidente ha vissuto questa esperienza, siamo Paesi che hanno migrato. Nel mio Paese – che credo siano 49 milioni in questo momento – abbiamo soltanto una percentuale di meno di un milione di aborigeni, e tutti gli altri sono di radice migrante. Tutti: spagnoli, italiani, tedeschi, slavi polacchi, dell’Asia Minore, libanesi, tutti… Si è mescolato il sangue lì e questa esperienza ci ha aiutato tanto. Poi per motivi politici la cosa non sta andando bene nei Paesi dell’America Latina, ma la migrazione credo che in questo momento va considerata sul serio perché ti fa alzare un po’ il valore intellettuale e cordiale dell’Occidente. Al contrario con questo inverno demografico, dove andiamo? L’Occidente è in decadenza su questo punto, scade un po’, ha perso… Pensiamo alla parte economica: si fa tanto bene, ma pensiamo allo spirito politico e mistico di Schuman, Adenauer, De Gasperi, quei grandi: dove sono oggi? Ci sono dei grandi, ma non riescono a portare avanti la società. L’Occidente ha bisogno di parlare, di rispettarsi e poi c’è il pericolo dei populismi. Cosa succede in uno stato socio-politico del genere? Nascono i messia: i messia dei populismi. Stiamo vedendo come nascono i populismi, credo che alcune volte ho menzionato quel libro di Ginzberg, Sindrome 1933: dice proprio come nasce un populismo in Germania dopo la caduta del governo Weimar. I populismi nascono così: quando c’è un livello metà senza forza, e uno promette il messia. Credo che non siamo noi occidentali al più alto livello per aiutare gli altri popoli, siamo un po’ in decadenza? Può darsi, sì, ma dobbiamo riprendere i valori, i valori d’Europa, i valori dei padri fondatori che hanno fondato l’Unione Europea, i grandi. Non so, un po’ confuso, ma credo che ho risposto.
Loup Besmond de Senneville:
“E sull’eutanasia?”
«Uccidere non è umano, punto. Se tu uccidi con motivazioni, sì… alla fine ucciderai di più e più. Uccidere lasciamolo alle bestie».
Iacopo Scaramuzzi, LA REPUBBLICA
“Mi riallaccio a quest’ultima domanda: lei nei suoi discorsi ha sottolineato molto il nesso tra valori, valori religiosi e vivacità della democrazia. Al nostro continente, all’Europa, secondo lei che cosa manca? Che cosa dovrebbe imparare da altre esperienze? E, se mi posso permettere, aggiungerei una cosa: poiché tra pochi giorni in Italia si fa un esercizio democratico, si vota, e ci sarà un nuovo governo. Quando lei incontrerà il prossimo presidente del Consiglio o la prossima presidentessa del Consiglio, che cosa consiglierà? Quali sono a suo avviso le priorità per l’Italia, quali le Sue preoccupazioni, quali i rischi da evitare?”
«Credo che su questo io ho già risposto nell’ultimo viaggio. Ho conosciuto due Presidenti italiani, di altissimo livello: Napolitano e l’attuale. Grandi. Poi gli altri politici non li conosco. Nell’ultimo viaggio ho domandato a uno dei miei segretari quanti governi ha avuto l’Italia in questo secolo: venti. Non so spiegarlo. Non condanno né critico, non so spiegarlo, semplicemente. Se i governi si cambiano così, sono tante le domande da fare. Perché oggi essere politico, un grande politico, è una strada difficile. Un politico che si mette in gioco per i valori della patria, i grandi valori, e non si mette in gioco per interessi, la poltrona, gli agi… I Paesi, tra loro l’Italia, devono cercare dei grandi politici, coloro che hanno la capacità di fare politica, che è un’arte. È una vocazione nobile la politica. Credo che uno dei Papi, non so se Pio XII o san Paolo VI, ha detto che la politica è una delle forme più alte di carità. Dobbiamo lottare per aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell’alta politica, non la politica di basso livello che non aiuta per niente, e anzi tira giù lo Stato, si impoverisce. Oggi la politica nei Paesi d’Europa dovrebbe prendere in mano il problema, per esempio, dell’inverno demografico, il problema dello sviluppo industriale, dello sviluppo naturale, il problema dei migranti… La politica dovrebbe affrontare i problemi sul serio per andare avanti. Sto parlando della politica in generale. La politica italiana non la capisco: soltanto quel dato dei venti governi in vent’anni, un po’ strano, ma ognuno ha il proprio modo di ballare il tango… si può ballare in un modo o in un altro e la politica si balla in un modo o in un altro. L’Europa deve ricevere esperienze di altre parti, alcune andranno meglio, altre non serviranno. Ma dev’essere aperta, ogni continente deve essere aperto all’esperienza di altri.



