L’edizione del 2023 del festival nazionale della canzone italiana, apertasi con la storica presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e conclusasi con la super prevista vittoria di Marco Mengoni autore di uno dei più classici testi di stile sanremese, si è caratterizzata per un doppio binario: inizio e conclusione abbondantemente serviti con “camomilla istituzionale”, svolgimento e passaggi intermedi nel segno di quello che potremmo definire – tra incidenti e combine – l’ennesimo tentativo di sfidare, con trovate sempre più trash e (pseudo) trasgressive, il bigottismo socio politico
Che questo doppio binario abbia portato a destinazione, i dati Auditel paiono confermarlo in valori assoluti e in percentuale di “share” (ahi ahi, di questo passo perche al festival della canzone italiana non se ne abbina un altro della lingua di Dante Alighieri?).
La vera questione è che esistono due Italie, o forse ne esiste una sola che compie scelte duali: conservatrici dello status quo in politica – inevitabile in un Paese dove per la prima volta il numero degli assegni previdenziali ha superato quello dei contratti di lavoro, e la sola area demografica crescente è quella dei connazionali emigrati all’estero – e più progressiste permissive nel campo dei diritti civili (perché quelli sociali, per la carità, sono appannaggio della conservazione nell’urna elettorale).
Non è un caso che le manifestazioni più plateali che hanno caratterizzato l’edizione appena conclusa abbiano riguardato la rivendicazione, da parte degli artisti alfieri delle cosiddette minoranze (ma saranno poi tali, dato l’elevato astensionismo al voto politico confermato dalle proiezioni di oggi in Lombardia e nel Lazio?), del diritto al libero bacio, alla non maternità, al pluralismo etnico, alla droga legale.
Diritti civili individuali appunto, mentre per esempio non una provocazione è andata in scena a sostegno del salario minimo e del salario dignitoso, capitolo quest’ultimo che vede l’Italia tra i Paesi fanalini di coda in ambito OCSE in fatto di tutele legali ai nuovi lavori e viceversa in testa alle classifiche del lavoro povero e precario.
Paradossalmente, i temi di questo secondo filone era più facile trovarli all’interno di alcuni brani, quelli sì coraggiosi e di sfida al politicamente corretto, dei Sanremo della prima e della seconda Repubblica politica.
Adesso più che altro siamo in presenza di un festival artisticamente scorretto, perché le sole canzoni che si ricordino nelle più recenti edizioni sono quelle delle cover, dei revival e degli ospiti veterani portabandiera degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta.
Per il resto, tanto rumore per coprire il silenzio dei brani in gara. Silenzio qualitativo e come avvenuto nella prima serata anche tecnico acustico, che ha portato Blanco a mettere in atto forse la più grave delle trasgressioni: calpestare i fiori e distruggere le fioriere allestite sul palcoscenico della città capitale dei fiori per eccellenza. Come calpestare il Tricolore il 2 giugno! Altro che bacio fluido o simili!
Insomma, da oggi per favore torniamo a parlare di alta inflazione energetica e alimentare, di vecchie e nuove povertà, di insicurezza dilagante, di emigrazione da record, di isolamento italiano in Europa: il resto sono solo canzonette. Anzi, neanche più: sono solo polemichette del festival di un’Italia che trasforma lo spettacolo in politica prendendosi la rivincita su una politica divenuta spettacolo.
Perché Sanremo è Sanremo. Punto a capo.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




