Si è concluso nella notte lo spoglio di un ballottaggio unico nella storia del Partito democratico. Elena Ethel (detta Elly) Schlein ha conquistato la leadership dem, ribaltando il voto dei “gazebi” e dunque degli iscritti, che pochi giorni fa avevano invece premiato il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Elly Schlein è nata nel 1985 a Lugano, in Svizzera, da una famiglia di estrazione borghese.
La madre, l’italiana Maria Paola Viviani Schlein, è stata preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi dell’Insubria. Il padre, lo statunitense di origine ebraica Melvin Schlein, è professore emerito di Scienze politiche e ha un passato da assistant director nella sede bolognese della Johns Hopkins University. Dopo l’istruzione primaria ad Agno e la maturità a Lugano, Schlein si è trasferita a Bologna, dove ha studiato al DAMS prima di approdare definitivamente alla facoltà di giurisprudenza e laurearsi nel 2011.
La sua carriera politica inizia nel 2008, quando vola a Chicago per fare da volontaria nella campagna elettorale di Barack Obama. Nell’aprile del 2013, nei convulsi giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica e dei 101 franchi tiratori che affossano la candidatura di Romano Prodi, Elly Schlein partecipa alla mobilitazione nazionale di protesta OccupyPD contro le larghe intese tra centrosinistra e centrodestra.
Nello stesso anno sostiene la candidatura del deputato Pippo Civati alla carica di segretario del partito e nel 2014 viene eletta al Parlamento europeo, interrompendo il sostegno al Pd durante l’era Renzi. Quattro anni dopo fonda la lista civica “Emilia-Romagna Coraggiosa” a sostegno della candidatura di Stefano Bonaccini come presidente della regione. In seguito alla vittoria del centrosinistra, Schlein diventa consigliere e, su nomina dello stesso Bonaccini, vicepresidente della regione nonché assessore al Contrasto alle diseguaglianze e transizione ecologica.
La nuova leader del Pd si definisce “una nerd anni ‘90”, appassionata di videogiochi e film. In campagna elettorale ha dichiarato: «sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre. Ma non per questo sono meno donna», ribaltando il tormentone di Giorgia Meloni. Nell’ascesa verso il Nazareno, Schlein non si è risparmiata nelle stoccate verso l’attuale presidente del Consiglio. Si pensi al commento: «C’è una bella differenza tra il dirsi femminili e femministe, se decidi di non difendere i diritti delle donne, a partire da quelli sul proprio corpo». Quasi un’ossessione, rilanciata anche nel primo discorso da segretaria dem, quando Schlein ha dichiarato che il Pd «sarà un problema per Giorgia Meloni».
La nuova leader del Nazareno pare dunque intenzionata a continuare lungo la strada dell’antifenomeno, che è già costata una débâcle alla sinistra nelle ultime elezioni. Alla base della bocciatura popolare c’è la convinzione che l’accanimento verso il nemico politico sia più compatto dell’appoggio al proprio programma, spesso sfilacciato da correnti e contraddizioni interne. Un tratto tipico dell’ultima era Pd.
Si pensi al Rosatellum o al taglio dei parlamentari, misure realizzate con il favore del Nazareno e finite in un secondo momento per essere criticate dagli stessi esponenti dem. Enrico Letta le ha addirittura individuate come cause della sconfitta alle elezioni del 25 settembre. Da ricordare poi i dietrofront sul memorandum con la Libia (firmato dal dem Gentiloni nel 2017) e sul Jobs Act. Misure ampiamente criticate dalla stessa Schlein, che intende realizzare un programma «capace di ricucire le fratture», di seguito riassunto per aree e punti.



