Pasquale Tridico: “Diamo ai giovani un lavoro (e un futuro) giusto”

0
143

Presidente Tridico, in questo libro lei ricorda anche la biografia di suo padre, e la sua storia.
«Se lo faccio, esponendo una parte della mia biografia più privata, è per dire una cosa importante: vede, io mi considero figlio del Welfare, un beneficiato della Stato sociale. E così cerco di amministrare l’Inps: con quello che oggi si definirebbe uno spirito di “restituzione”».

Perché questa definizione ha a che fare con la sua vita?
«Perché io sono figlio di un padre analfabeta di uno sperduto paesino della Calabria. Per la parte più importante della sua vita mio padre era a tutti gli effetti anche sordomuto».

Era?
«Poi, nel 1979 lo Stato sociale entra per la prima volta nelle nostre vite. La mia sorella maggiore, primogenita, vent’anni più grande di me, si trasferisce a Salerno per fare l’università. Con grandi sacrifici, e da fuorisede, si laurea».

E poi?
«Mentre studia, scopre che la sindrome di mio padre è curabile, e che la mutua poteva passargli – addirittura gratis! – un apparecchio acustico in grado di restituirgli quell’udito che lui pensava di non avere».

E così voi fate domanda alla mutua per l’apparecchio.
«Mio padre ottiene gratuitamente la sua protesi, torna a sentire, e questo per ovvi motivi gli cambia la vita».

In che modo?
«Recupera grazie alla protesi l’udito e – subito dopo – persino la parola. Anche se, per tutta la vita parlerà come un bambino, per lui sarà un salto enorme. Un cambio di condizione».

Quindi il figlio del Welfare è suo padre. Lei tuttalpiù è un nipote.
«Ma non è mica finita qui: un altro mio fratello, il secondo, va a studiare a Torino».

E cosa accade?
«Scopre che per le persone come mio padre esiste possibilità di quello che un tempo si chiamava “collocamento obbligatorio”».

Ovvero una possibilità di essere assunto. E dove lo trova il posto?
«Mio fratello convince mio padre a fare domanda per un posto da bidello in una scuola di Torino».

Riesce ad ottenerlo?
«Sì. Papà viene assunto nel 1981: così ci trasferiamo tutti sotto la Mole».

E così cambia anche la sua vita.
«Ci può giurare. È un viaggio non privo di traumi da un capo all’altro d’Italia».

Mi faccia un esempio.
«Le faccio il più banale, che riguarda proprio me. In Calabria, quando ero partito, ero il primo della classe».

E invece, nella nuova scuola?
«A Ferriera, in una periferia del Nord, divento subito l’ultimo. Per il mio inconfondibile accento calabrese forse, per le mie inflessioni dialettali, non so dire esattamente. Però accadde».

Cosa?
«Che io divento a tutti gli effetti “un terrone” e un “ultimo”. Per integrarsi bisogna avere fortuna e bisogna anche faticare molto. Però, dopo le difficoltà iniziali, la vita di tutti noi è cambiata in meglio».

Il cambio di condizione ha cambiato la sua prospettiva.
«Se tutto questo non fosse accaduto, io non sarei certo diventato professore universitario. E non sarei certo qui».

Lei, che di solito è riservato, ha scelto di raccontare questo episodio, e lo ha ricordato anche nel libro che ha scritto a quattro mani con il più grande esperto di previdenza, Enrico Marro del Corriere della Sera.
«Perché interpreto questo ruolo all’Inps con spirito istituzionale. Ma non posso negare neanche che nelle misure per cui mi sono impegnato – dal Reddito ai riders in passato e adesso al salario minimo – c’è sempre questa luce di passione che mi accompagna. L’idea di poter contribuire a cambiare la vita di qualcuno. E in meglio».

Nel libro scritto con Enrico Marro lei lancia un allarme.
«È il cuore del nostro saggio. Ed è un’emergenza che purtroppo oggi viene sottovalutata da tutti».

Lo racconti in modo semplice.
«In fondo è un problema complesso, ma facile da spiegare. In nessun campo come in quello previdenziale, il passato, il presente e il futuro sono strettamente connessi tra di loro».

E dunque?
«Le pensioni dei pensionati di oggi non si pagano attingendo a qualche misterioso pozzo di San Patrizio, ma con la contribuzione di chi è attualmente al lavoro».

I giovani pagano le pensioni ai vecchi.
«Esatto. Come abbiamo spiegato con Marro, quando abbiamo dovuto scegliere un titolo che fosse anche uno slogan ideale, abbiamo fatto questa sintesi: “Il lavoro di oggi contiene la pensione di domani”».

Luca Telese