La Turchia usa i migranti come arma di ricatto con l’Europa

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Dopo l’accordo siglato nel 2016, la Turchia ha ottenuto dall’Ue più di sei miliardi di euro per fermare la rotta balcanica, ma ha sempre usato i migranti come arma impropria di ricatto nei confronti dell’Europa

Da più di un anno, dopo il ritorno dei talebani in Afghanistan e la mancata stabilizzazione della crisi siriana, le politiche di respingimento operate dalla Grecia hanno alimentato i traffici degli scafisti sulla rotta ionica: nel 2022 in Calabria e in Puglia si sono registrati 18 mila arrivi, con un 108% in più, all’inizio del 2023 gli sbarchi lungo questa tratta sono già aumentati del 164% e dopo il disastroso terremoto di febbraio in Turchia e Siria c’è da aspettarsi un nuovo aumento esponenziale dei flussi migratori.

Più che un’emergenza, dunque, un fenomeno strutturale. Facciamo un passo indietro: i profili giuridici dell’accordo Ue-Turchia si basavano essenzialmente sul blocco delle frontiere, con l’obiettivo di impedire l’arrivo di altri milioni di migranti in Germania, in Austria e nei Paesi dell’Est, dove sono stati anche alzati muri per proteggere i confini.

Mentre nulla veniva fatto per arginare la rotta mediterranea lasciando sola l’Italia, prevalse insomma la realpolitik di un’Europa divisa che scelse di delegare la gestione dei profughi siriani a Erdogan pur sapendo che il sistema d’asilo turco non soddisfa nessuno dei requisiti umanitari previsti dal diritto internazionale.

Riccardo Mazzoni