IL FISCO LOCALE? MENO ADDIZIONALE E PIÙ COMPARTECIPATO. LA PROMESSA DEL GOVERNO

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In vista dell’approvazione parlamentare sulla delega fiscale, contenuta nel disegno di legge approvato dal Governo Meloni e affidato alla gestione del fedelissimo viceministro Maurizio Leo, prende forma la fiscalità degli enti territoriali

Una variabile che, dal 1992 – anno di prima istituzione dell’ICI da parte del Governo Amato – fino ai tempi più recenti, è sempre stata vissuta con terrore dagli stessi tifosi del federalismo della prima ora, “bossiani” inclusi, che hanno visto sui propri cedolini, datoriali o Inps, voci di prelievo non mai sostitutivo ma sempre aggiuntivo a quello operato dallo Stato. Quanto meno per saldi aritmetici.

Tanto che in alcune fasi, per mettere un freno alla foga impositiva dei territori – di sindaci e presidenti di Provincia e di Regione di ogni sfumatura ideologica o colore politico – chi guidava palazzo Chigi ha dovuto introdurre meccanismi di blocco o congelamento temporaneo delle addizionali, in particolare Irpef o Irap.

Adesso, nel quadro della riforma tributaria che dovrà entrare globalmente in vigore e in esercizio lungo il cammino dei prossimi 24 mesi, in forma di più decreti delegati, il dicastero del MEF ha deciso di accendere un faro sulla macchina fiscale locale, frutto di provvedimenti che nel passato hanno affidato a Regioni, Province e Comuni sempre maggiori competenze, spesso frazionate con quelle degli uffici statali, prevedendo trasferimenti statali sempre meno aggiornati e sostituendoli con la possibilità di manovre locali basate su più alte aliquote massimali.

I risultati, recandosi dal commercialista o dal CAF, sono sotto i nostri sguardi rassegnati.

Che cosa prevede pertanto il capitolo sul cosiddetto erario di campanile da concretizzare entro il termine del 2024? Il sistema della compartecipazione al gettito dei tributi nazionali, riconducibile alla sede geografica di produzione del reddito (lavorativo o aziendale) o di perfezionamento della transazione commerciale. Si tratta di una formula che già viene sperimentata in alcune Regioni a statuto speciale, come la Valle d’Aosta e il Friuli Venezia Giulia, e che consiste nella possibilità per le amministrazioni regionali, provinciali e comunali di introitare una quota parte del gettito di tributi come Irpef, IVA e Ires condividendo i poteri di accertamento e fornendo un quadro più fedele delle aree geografiche del nostro Paese a maggiore o minore creazione di valore aggiunto.

Questo vorrebbe dire mettere in soffitta una parola, sostantiva o aggettiva, ossia “addizionale”, vissuta come uno stato d’ansia ogni qual volta venga pronunciata da qualche Sindaco o governatore di Regione.

Non solo: altre innovazione di non poco conto riguarderà la totale trasformazione dell’Imu capannoni in un tributo integralmente federale di imputazione al bilancio del municipio impositore. Non è un passaggio di piccolo conto: quando nel 2012 il Governo tecnico di Mario Monti introdusse l’Imu come fattispecie sostitutiva, e peggiorativa, dell’ICI, ai Comuni creò la beffa di un tipo di imposta patrimoniale che aumentava i costi di versamento a carico delle aziende titolari dei fabbricati e, allo stesso tempo, devolveva a Roma una parte del prelievo.

Una stortura alla quale si è cercato di mettere riparo negli anni successivi stabilendo una progressiva possibiltà di deduzione dell’Imu capannoni dai redditi imponibili Ires e Irpef, per le società e per gli artigiani individuali.

Adesso l’imposta municipale unica erede dell’ICI sugli immobili a destinazione produttiva, commerciale o terziaria sarà completamente incassata dal bilancio della città nel cui territorio sorge il sito economico, per la gioia di territori come Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. L’obiettivo è consentire agli enti locali di disporre di maggiori risorse per modulare i costi fissi diretti e indiretti a carico delle attività economiche, con maggiori risorse di autonomia per progetti di riqualificazione, recupero e risanamento di quei capannoni dismessi eredità di passati miracoli e boom italiani.

Infine, la delega fiscale disciplina linee direttive per condurre la fiscalità locale a fare propri quei principi di trasparenza, semplificazione, collaborazione con il contribuente, adesione spontanea al risanamento di irregolarità formali, che sono stati posti alla base del rivoluzionamento del fisco di Stato.

La delega tributaria territoriale si interseca con i destini della cosiddetta autonomia differenziata, e non a caso condurrà le Regioni a statuto ordinario a essere sempre più simili a quelle a ordinamento speciale.

Con l’auspicio che la compartecipazione possa tornare ai cittadini in forma di agevolazione e di incentivazione ai consumi e agli investimenti, e non soltanto ai ceti politici del luogo in termini di maggiori e meno controllabili privilegi corporativi.