È stata sufficiente una dichiarazione di Ammar Al Khudairy, presidente di Saudi National Bank, azionista di riferimento di Credit Suisse (che a dicembre aveva appena operato una ricapitalizzazione di 4 mld di €) sulla indisponibilità a ulteriori iniezioni di capitale nell’istituto elvetico per scatenare il finimondo
Oggetto di vendite massicce sono state sia le azioni che i bond della banca, mentre i CDS (Credit Default Swap), in particolare quelli a 1 anno, sono esplosi in quella che è parsa avere tutte le caratteristiche di una crisi bancaria. I CDS sono infatti stati utilizzati da diverse banche per correre a coprire il rischio controparte verso Credit Suisse.
Reazione ingiustificata? Credit Suisse fa parte delle GSIB (Global Systemically Important Bank), cioè delle banche di rilevanza sistemica globale e quindi soggetta a standard per i requisiti di capitale, funding, liquidità e leva finanziaria significativamente più alti. Da questo punto di vista i requisiti regolamentari di Credit Suisse non sono preoccupanti: il Common Equity Tier 1 (CET1) è al 14.1% e il Liquidity Coverage Ratio (LCR) al 31/12 si trovava a 144%, valore che è stato addirittura migliorato a circa il 150% agli inizi di marzo (ultimo dato disponibile, 8 marzo 2023).
Il vero problema è stato di fiducia, vista la precedente esperienza di Silicon Valley Bank che pochi giorni prima aveva dimostrato come i depositi si possano spostare a una velocità impressionante quando la stessa viene a mancare.
Per questo è giunto con enorme sollievo l’intervento delle autorità svizzere (SNB – Swiss National Bank) sotto forma di una linea di credito e una di liquidità (entrambe completamente garantite da asset di elevata qualità) da 50 mld di franchi, che saranno in parte utilizzati per riacquisto di bond senior in circolazione per 2.5 mld di $ e 500 mln di Euro, al fine di ripristinare il più possibile la fiducia sul mercato.



