William Irish – Si parte alle sei – Milano, Mondadori, 1953. 124 p. (250)

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GIALLO 5 – Potremmo anche definire questo settimo thriller “Accadde tutto in una notte”, oppure “Dall’una alle sei”, giacché due persone che non si erano mai viste prima – Quinn, idraulico disoccupato e Bricky, taxi-girl di un dancing – si incontrano per la prima volta su una pista da ballo una sera, approfondiscono tra mille diffidenze la reciproca conoscenza, si raccontano le loro vicende più personali, scoprono un delitto di cui lui potrebbe essere accusato, solidarizzano nelle difficoltà, decidono di fare i detective e scoprire l’assassino – rischiando a loro volta la vita – scoprono la verità ed infine – alle sei del mattino dopo, appunto – si parte! con il bus per il comune paese di origine che scoprono di aver lasciato con tanto rimpianto

Un sovraffollato susseguirsi di avvenimenti che sembra quasi impossibile che accada in quelle poche ore: detta così sembra impensabile perché seguiamo i canoni comuni di tempo e di comportamento, dimenticando che, in determinate condizioni, tutto può accadere. Ed infatti le vicende seguono e si svolgono secondo questa lineare trama con agguati, pericoli, false piste, problemi che nascono da un momento all’altro e sembrano insormontabili, quando finalmente ecco la luce in fondo al tunnel che li fa uscire da un incubo e rilassa il teso lettore magicamente coinvolto nelle loro vicende.

Tutto inizia quando Quinn confessa di aver rubato dalla cassaforte della casa di un possidente – il finanziere Stephen – una forte somma di denaro (2.500 dollari… di quei tempi!) grazie alla debolezza della cassaforte che ha lo sfondo di legno, scoperta per caso durante alcuni lavori di idraulica. Essendo ancora l’appartamento vuoto – così pensano entrambi – lei lo convince a restituire il denaro per uscire dall’incubo di paura e rimorso in cui si trova.

All’atto dell’ingresso nel salone scoprono però il cadavere di Stephen e ne rimangono molto turbati: ora lui sarà sicuramente accusato del delitto oltre che del furto di denaro; non c’è nulla da fare, deve costituirsi e riferire i fatti come si sono realmente svolti sperando che quella confessione porti ad appurare la verità. Ma, a pensarci bene, chi crederà ad un idraulico disoccupato che ha rubato e che dice che voleva restituire il mal tolto e con un cadavere che parla da sé, più di ogni altra confessione?

Allora entrambi si fanno forza, diventano detectives, novelli Sherlock Holmes: prima analizzano il morto, poi attentamente la scena del delitto riscontrando parecchi indizi che riguardano tre persone.

A questo punto si dividono le piste ed ognuno, verso le due e mezza, inizia a ricercare riscontri per arrivare all’omicida, rischiando tante cose brutte, morte compresa.

La faccenda si scoprirà essere più ingarbugliata del previsto quando, pur apparendo alcune prove decisive per incastrare il personaggio trovato, quest’ultimo risulterà essere estraneo alla morte del finanziere.

Tra una sposina imprudente, Helen, ed il di lei marito, Harry, un mediatore di spedizioni, Arthur, una ballerina, Joanie, ed un attore di varietà, Griff, si nasconde quell’unica verità che spiegherà tutto e permetterà ai due di uscire dal terrore e dalla paura, fermare il bus appena partito dalla stazione, salirvi, abbandonando una elegante automobile tra la meraviglia degli altri passeggeri e dello stesso autista e rifarsi una vita insieme nel paesello natio.

Vicende umane che Irish ha saputo molto bene narrare con un linguaggio scorrevole, preciso e coinvolgente dimostrando con ciò che la sua fama – ancora oggi, oltre settant’anni dopo – sia ancora meritata avendo saputo cogliere, tra l’altro, sfumature del comportamento umano ormai perdute o sottovalutate perché il tempo è generalmente un galantuomo: riportando verità e giustizia, ma non sempre dispensando questi doni alle persone giuste.

franco cortese

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