Se in passato si trascorreva il fine settimana nell’attesa di capire come sarebbe stato l’avvio dei mercati, alla riapertura del lunedì, con riferimento al o ai titoli in portafoglio, adesso oramai la tendenza è a cercare di comprendere come i valori mobiliari in questione chiuderanno il venerdì
Esattamente quello che è stato il sentiment intorno alle azioni di Deutsche Bank, il colosso creditizio della Repubblica federale tedesca colpito ieri da un colossale movimento speculativo di proporzioni tali da causarne, nel volgere di poche ore, un calo delle quotazioni, e cioè una perdita secca di valore, da fare ritenere che in atto vi fosse un “contagio” transatlantico partito dalla californiana Silicon Valley, approdato in terra elvetica e giunto infine a Francoforte sul Meno.
Sia chiaro che il collegamento tra le varie situazioni esiste, ma esso è dovuto più a fattori mentali che non, talvolta, a reali significative interconnessioni costituite da partecipazioni azionarie o da provviste obbligazionarie o finanziarie in atto fra gli istituti di cui si parla.
Che cosa è successo, in sostanza, pertanto? È accaduto che la vicenda del Credit Suisse, e le modalità della sua acquisizione da parte dell’Unione di banche Svizzere – orchestrata dal governo e dal governatorato della banca centrale della confederazione elvetica – è stata utilizzata da alcuni professionisti delle manovre rialziste per creare un clima da panico intorno a determinate categorie di titoli obbligazionari e derivati facenti capo a Deutsche Bank: gli stessi, per inciso, oggetto della clamorosa svalutazione decretata per il Credit in Svizzera per un valore di ben 17 miliardi.
Panico seminato e purtroppo attecchito sebbene le autorità UE e BCE si fossero fin da subito affrettate a puntualizzare che il diverso e più rigoroso ordinamento comunitario, vigente nell’Unione Europea, non permetterebbe mai un episodio come quello deliberato dalle istituzioni politico monetarie di Berna. Ma tant’è: le paure di assistere a una insolvenza sulle obbligazioni, di competenza del colosso tedesco, a maggior tasso remunerativo (e dunque rischioso), ha portato ai valori massimi le quotazioni dei cosiddetti CDS, i Credit default swap. Questi ultimi altro non sono che una sorta di polizza assicurativa volta a coprire l’eventualità peggiore, quella che l’istituto di credito emittente i titoli principali non sia più in grado di ripagarli.
Si dice, in frangenti di questo tipo, che è stata vinta una “scommessa” che, nel bene oppure (come nel caso in specie) nel male, era stata intentata attraverso la stipulazione di un preciso “derivato”. Quest’ultimo può andare incontro a sviluppi, e a un epilogo, fonte di enormi guadagni così come di ingenti perdite.
Al pari di un altro genere di operazioni bancarie in voga dagli inizi del duemila: i finanziamenti a leva o, in gergo anglofono, leverage. Essi consistono sempre in una scommessa, quella di mettere a segno un determinato livello di rendimento, sul mercato finanziario, vincolando una quantità di capitale inferiore a quella che occorrerebbe stanti le quotazioni normali vigenti fino a quel momento. Inizialmente immaginate come strumento per svincolare una parte di capitali detenuti in stock, così da poterla indirizzare verso gli altri ordinari finanziamenti – e non dovere perciò stesso subire contraccolpi nei flussi dei ricavi – , le operazioni di leverage hanno finito con il manifestare crescenti profili speculativi oscillando continuamente fra la prospettiva di conseguire sì una determinata rilevante somma, preceduta però da un segno più o da un segno meno.
Tornando quindi alla vicenda della Deutsche Bank, ieri – nel corso del Consiglio europeo che era stato convocato da Charles Michel e Ursula von der Leyen per discutere di immigrazione e riforma del patto di stabilità (per farne un patto di crescita) – il Cancelliere berlinese Olaf Scholz, incassando la solidarietà dei colleghi capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi UE, si è dovuto affrettare a dichiarare che l’istituto simbolo del settore bancario della Germania (e con presenze e insediamenti piuttosto significativi pure in Italia), dopo la fase cruenta della ristrutturazione e della riorganizzazione deliberate nel 2019, “ha modernizzato e risanato radicalmente il proprio business, e oramai è una Banca redditizia e profittevole”. Dichiarazione che trova conferma nei conti a consuntivo e nelle analisi di enti di valutazione, muniti di indipendenza, che ne hanno certificato il basso livello di connessione con profili di rischiosità viceversa prevalenti in altre situazioni sui mercati internazionali e mondiali.
Se da un lato l’episodio che ha colpito l’istituto di credito di Francoforte sul Meno è uno sprone ad accelerare verso quella Unione bancaria europea dai più invocata – la cui necessità (al netto dei dubbi sulla ratifica del trattato di riforma del meccanismo di stabilità Mes) è oramai riconosciuta dallo stesso Governo Italiano in carica – dall’altro, e nel frattempo, il rafforzamento immediato delle basi di educazione finanziaria è il rimedio migliore per non cedere alle sirene dei professionisti del “panic selling” (panico da vendita) orientati a scommettere sui fallimenti di mercato.
Leggendo i Manuali più recenti – da Abbecedario a Bignamino – redatti dal Banchiere internazionale Beppe Ghisolfi – ed editati da Nino Aragno – si può entrare in familiarità con espressioni come derivati o swap, la cui conoscenza è precondizione per non alimentare involontariamente il giogo dei professionisti del maneggio di titoli a elevata rischiosità; e per basare una programmazione del proprio risparmio sui reali fondamentali degli istituti o delle istituzioni finanziarie nelle quali si va a investire prudenzialmente.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




