CONSIGLIO EUROPEO, SOTTO LE DICHIARAZIONI PER L’ITALIA IL SENTIERO È ANCORA STRETTO E RIPIDO

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Sotto il vestito niente, titolava un celeberrimo film cult degli anni Ottanta del Novecento.
Parimenti a Bruxelles, dopo il vertice di venerdì infiammato dalla crisi delle quotazioni di Deutsche Bank, sotto le dichiarazioni amichevoli e ottimistiche, la strada per l’Italia, e per il Governo Meloni, rimane ripida e irta di complessità sul piano economico, mentre su quello della sicurezza mediterranea tutto dipenderà dalle modalità organizzative e dagli esiti della missione della nostra Premier a Tunisi sotto il cappello UE (e a braccetto con la Francia) il prossimo aprile

A partire dalla questione dei carburanti, per arrivare a quella relativa alla revisione del patto di stabilità e crescita, per accentuare la portata della seconda parola a scapito della prima, il primo round pare infatti essere stato aggiudicato ai Paesi nordici e alla Germania.

La quale, se da un lato condivideva con Giorgia Meloni le preoccupazioni in ordine alle sorti dell’industria automobilistica nazionale a seguito della proposta di direttiva comunitaria sul divieto di vendita dei motori termici a decorrere dal 2035, dall’altro a un certo punto ha di nuovo preferito fare da sé (aiuti di Stato docet) e trattare singolarmente con la Presidente UE Ursula von der Leyen un’intesa a favore dei carburanti “e fuel”. Questi ultimi, a differenza dei biocombustibili sui quali viceversa sta insistendo il nostro Paese, sono un tipo di propellente ricavato da un mix tra fonti rinnovabili, propulsione a idrogeno sistemi di cattura di anidride carbonica, e riflettono la tecnologia tedesca nel campo della motoristica automotive.

Altro tema è quello dei biocarburanti, al centro del dossier della premier Meloni e del Ministro per l’ambiente e la sicurezza energetica Gilberto Pichetto, i quali vorrebbero che una prioritaria attenzione fosse dedicata a piani di recupero e valorizzazione di olii esausti e di rilancio della redditività di alcune produzioni agricole a rischio di progressivo declino e impoverimento come le colture dei semi di girasole.

Palazzo Chigi vorrebbe legittimamente dare voce al punto di vista di un territorio le cui tradizioni industriali e innovazioni tecnologiche riflettono un unicum non replicabile in altre realtà, e per questo – spenti i riflettori sul summit UE di venerdì – la richiesta rimane quella di una direttiva comunitaria che faciliti una transizione “eco industriale” rispettosa, sul piano altresì di tempistiche da rendere più flessibili, delle diverse strutture economiche dei Paesi membri.

Sul fronte dei risultati (non) ottenuti nelle correzioni di rotta sulle normative in tema di motori, alcune espressioni di malumore si starebbero registrando dalle parti di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi fondatore del centrodestra anni Novanta che non ha fatto mistero di rimarcare l’assenza di progressi negoziali a favore del nostro Paese a consuntivo del summit di venerdì.

Parimenti, sulla proposta di revisione del patto di stabilità e crescita, volta a superare la visione ragionieristica del trattato di Maastricht del 1992 e di quello di Lisbona del 2006, i dualismi tra Nord e Sud del Continente rimangono evidenti: sebbene sia stato introdotto il concetto di valutazione non più annuale ma bensì quadriennale degli obiettivi di bilancio da conseguire su deficit e debito in rapporto al PIL, in modo da garantire la necessaria flessibilità alle politiche economiche e fiscali in funzione di ambiziosi obiettivi di sviluppo economico e sociale, i nodi da risolvere rimangono parecchi; e a molti non è sfuggito il ruolo che verrebbe assegnato alla commissione UE sotto il profilo della rinforzata potestà di comminare e infliggere sanzioni e di aprire procedure per deficit eccessivo.

Mentre fra gli aspetti obiettivamente positivi si annovera l’abolizione della clausola che imponeva ogni anno ai Governi di accantonare risorse non per la crescita ma piuttosto per ridurre di un ventesimo l’eccesso di debito pubblico rispetto alla soglia del 60 per cento sul prodotto interno lordo.

La revisione del patto di stabilità, che dovrebbe entrare in vigore a decorrere dall’esercizio di bilancio del 2024, sta registrando i dubbi e le perplessità dei Paesi dell’area mediterranea della UE, e su questi malumori fa leva l’Italia per ottenere una riscrittura ulteriormente più incentrata sull’enfasi dell’economia reale rispetto a quella della contabilità pubblica.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI