Il decreto del Governo Meloni, che unifica le proposte di una pluralità di Ministri e dicasteri, prevede la creazione di una cabina di regìa per la semplificazione delle procedure di individuazione e autorizzazione degli invasi e delle opere di modernizzazione di canali e infrastrutture idriche in grado di abbracciare l’intero ciclo delle acque, incluse quelle piovane e reflue
Un commissario straordinario avrà il compito di trasformare in atti cogenti le decisioni della cabina, e di nominare a propria volta delle figure monocratiche ad acta con l’incarico di subentrare alle amministrazioni locali ritardatarie o inadempimenti.
In ogni caso, come previsto dalla decisione collegiale approvata ieri da palazzo Chigi, nella riunione settimanale convocata dalla premier Giorgia Meloni, entro i prossimi trenta giorni dovremmo avere visione di un primo, esaustivo elenco di interventi strutturali non più rinviabili, pena l’aggravarsi ulteriore delle condizioni rurali e idropotabili di intere province e regioni del nostro Paese.
Nel solo Nord Ovest, sono già una ventina i Comuni che riforniscono le proprie reti acquedottistiche con le autobotti, mentre in alcuni punti della lunga asta fluviale della pianura Padana, i livelli del Po sono scesi fino al 73 per cento di quelli normalmente rilevati sul corso d’acqua principale e sui suoi affluenti.
Nel Nord Italia, durante i primi due mesi del 2023, le temperature hanno evidenziato un aumento di quasi un grado e mezzo al confronto con il primo bimestre dello scorso anno.
Come se non bastassero questi fattori climatici, inediti da uno o due secoli, la rete idrica si presenta obsoleta, poco efficiente, non aggiornata tecnologicamente e dispersiva: si calcola che, prima di arrivare ai rubinetti delle famiglie italiane, il 40 per cento dell’oro blu interrompa molto prima il proprio percorso a causa di perdite lungo le conduzioni.
In Italia, dopo gli anni Sessanta dello scorso secolo, il moltiplicarsi di leggi e atti amministrativi ha appesantito tutti i procedimenti di programmazione, autorizzazione ed esecuzione degli interventi relativi a lavori pubblici e di pubblica utilità, in molte circostanze impedendo piani di miglioria o integrazione delle capacità delle opere esistenti per l’esercizio del ciclo idrico integrato.
Gli invasi e lo stato degli acquedotti e degli impianti per il trattamento delle acque piovane, marine o reflue ne sono una drammatica dimostrazione.
La cabina di regìa punterà a lavorare assieme a Governatori regionali e amministratori provinciali e comunali per stilare il piano di emergenza nazionale che dovrà essere presentato in trenta giorni e messo a terra, anzi in acque sicure, dal commissario di nomina governativa. Tuttavia, non saranno ammessi più veti o ritardi, poiché questi ultimi sono già in corso da molto tempo.
Il decreto rappresenta inoltre un tassello della strategia del Governo per non perdere un altro tipo di liquidità: quella finanziaria prevista dal Pnrr e dai fondi addizionali al piano nazionale di ripresa e resilienza. Si tratta, come ha ricordato il ministro della sicurezza energetica e dell’ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, di risorse pari a otto miliardi, le quali tuttavia, anche nel caso auspicato fossero totalmente impiegate, potrebbero non bastare a colmare tutti i fabbisogni del settore. Secondo le stime di Utilitalia, la federazione delle imprese di public utility, occorreranno stanziamenti aggiuntivi per oltre un miliardo di euro all’anno fino al 2026, per accompagnare il recovery plan della UE e per portare la percentuale di riuso efficiente dell’acqua dall’attuale 4 al 23 per cento.
Per evitare, e questa volta non sarebbe un modo di dire metaforico ma una terribile realtà, un ennesimo buco nell’acqua.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




