Il documento di economia e finanza, il primo dell’era del governo di Giorgia Meloni, dedica ampi riferimenti alla necessità di consolidare il cammino di riduzione del rapporto tra deficit e PIL da qui al 2026, puntando in specifico sulla prevista crescita tendenziale del prodotto interno lordo e rinunciando alle misure fiscali emergenziali degli ultimi tre anni segnati da covid, post pandemia e alta inflazione bellica
Tali misure saranno sostituite da altri interventi a carattere ordinario che andranno a sostegno delle categorie sociali più vulnerabili nella fase della transizione industriale, ecologica e digitale.
Il documento di economia e finanza, che è stato deliberato dal Consiglio dei Ministri di lunedì su proposta del ministro competente Giancarlo Giorgetti, è il riferimento nel quale si situeranno gli atti annuali in materia di bilancio e i loro successivi aggiornamenti. La sua funzione è quella di delineare i principali indicatori macroeconomici e di sistema relativi alle variazioni nel reddito e nella ricchezza nazionale e all’incidenza dei fattori di finanza pubblica (deficit, debito e interessi passivi, pressione fiscale) sull’economia reale.
Una delle previsioni più significative è lo stanziamento di 3 miliardi di euro come mini sconto sul costo del lavoro valevole per il periodo compreso fra i mesi di maggio e di dicembre del corrente anno, utilizzando i maggiori spazi di manovra e di deficit, al 4,5 per cento in rapporto al PIL, resi possibili dal permanere del regime sospensivo del patto di stabilità UE e del famigerato fiscal compact.
Obiettivo della riduzione della componente del costo del lavoro, rappresentata dai contributi sociali, è il sostegno al potere d’acquisto dei redditi medio bassi da lavoro dipendente, senza rincorrere quella che viene definita la rincorsa tra salari e prezzi. Con la speranza, al di là delle previsioni econometriche, che questi ultimi calino a livello internazionale per effetto della moderazione intervenuta nei listini di alcune materie prime fondamentali.
Nel corso del 2024, il governo Meloni punta a utilizzare un ulteriore spazio di manovra che però si ridurrà a uno 0,2 per cento quale differenza tra deficit di bilancio ammesso da Bruxelles, al 3,7 per cento sul PIL, e deficit tendenziale stimato in calo al 3,5. Detto margine confluirà in uno specifico fondo per la riduzione della pressione fiscale che sarà funzionale ad attuare la riforma tributaria la cui definitiva approvazione parlamentare, con lo strumento della legge delega, è stata auspicata, dal Viceministro delle finanza Maurizio Leo, tra maggio e giugno prossimi.
Attenzione, però, a troppo facili o illusori entusiasmi in ordine alle speranze di un sostenuto contenimento del carico tributario sui redditi di cittadini, famiglie, professioni e imprese.
La pressione fiscale – come viene enunciato dal documento del Def – è sì stimata in andamento discendente, ma dall’attuale 43,3 per cento nei confronti del prodotto interno lordo, lo scenario ne prevede una diminuzione di appena 0,6 punti percentuali a tutto il 2026 che costituisce l’orizzonte programmatorio fissato ieri pomeriggio dal Consiglio dei Ministri.
La Premier Giorgia Meloni, d’intesa con il Ministro Giorgetti e con gli altri esponenti governativi coinvolti, ha pertanto deciso di tenere ai box, per il momento, qualsiasi stima relativa all’impatto del piano nazionale di ripresa e resilienza, il Pnrr, sul tessuto economico reale del Paese, così come ai riflessi benefici presunti dalla redistribuzione del carico della tassazione conseguente a una riforma fiscale che, per ammissione stessa del viceministro Leo, vedrà in una prima fase la invarianza del complessivo gettito erariale da assicurare alle casse del bilancio statale.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




