Eppure è importante continuare a parlarne. Un conflitto quasi decennale, la peggior crisi umanitaria in corso nel mondo, oltre 15 milioni che vivono in stato di estrema povertà
Bambini che convivono con il rischio di essere uccisi o restare mutilati da ordigni mortali e mine anti-uomo e adolescenti sovente usati come carne da cannone di questa guerra.
Guerra e violenza, niente futuro. Racconta un insegnante: “Una volta iniziata la guerra, la scuola storica del quartiere diventava inaccessibile. E i genitori hanno iniziato a non mandarli più a scuola. Come dare loro torto? Meglio avere un figlio illetterato ma vivo che un figlio morto, crivellato dai colpi di una mitragliatrice”.
Arriva un piccolo ma significante spiraglio di luce: un incontro tra Arabia saudita e Houthi nella capitale yemenita Sana’a, per discutere di un accordo di pace definitivo. Un passo storico, che potrebbe essere annunciato il 21 aprile, prima della festa di Eid al Fitr, che segna la fine del Ramadan.
L’Italia in tutto ciò ha le sue colpe, nell’aver venduto ingenti commesse di armi nel 2016, ma è anche protagonista nell’aver deciso di sospendere l’invio di armi nel 2019 e poi fermarlo definitivamente nel 2021. E di ciò ne vado orgogliosa.
Le scelte giuste vanno prese, con coraggio e responsabilità. Ora occorre fare di più, non tanto per noi, ma soprattutto per chi crede in un mondo migliore, come Mariam da Taiz, che racconta
“Solo delle persone non sane mentalmente potrebbero pensare di privare un bambino della scuola per mandarlo a combattere o possono costringere una bambina a sposarsi. Tutto questo deve finire”.


