Italia Sostituzione etnica? No, culturale. I ‘valori’ della guerra al posto della pace

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L’Italia è coinvolta nel processo di trasformazione culturale più importante della sua storia repubblicana. Sto parlando del processo di sostituzione della cultura della pace con la cultura della guerra. In sintesi, ecco la mia tesi: dopo la caduta del Muro di Berlino, il sistema politico italiano si è trovato alle prese con una duplice tensione

Da una parte, l’espansionismo della Casa Bianca che ha proiettato la propria potenza su scala mondiale come mai prima era avvenuto nella storia occidentale; dall’altra, le basi americane sul territorio nazionale che consentono agli Stati Uniti di controllare l’apparato militare italiano e orientare le scelte dei governi nel campo della sicurezza internazionale. Il problema nasce dal fatto che gli Stati Uniti, espandendosi, chiedono all’Italia di partecipare a un numero sempre crescente di guerre: Serbia, Libia, Iraq e Afghanistan, per citarne soltanto alcune. La reazione del sistema politico italiano a questa tensione strutturale ha dato due risposte culturali diverse in due fasi differenti.

Nella prima fase, iniziata con il bombardamento illegale della Nato contro la Serbia nel 1999, la risposta culturale ha riguardato l’uso delle parole. L’Italia ha definito le proprie guerre come “missioni di pace”. In realtà, i soldati italiani sparavano e uccidevano i nemici degli americani, ma questo è stato tenuto nascosto dai media dominanti. Il divieto di parlare di “guerra”, che oggi Putin impone alla Russia, è stato imposto ai media dominanti che hanno usato la parola “pace” al posto della parola “guerra” in tutte le guerre dell’Italia.

Nella seconda fase, iniziata con la guerra in Ucraina, la risposta culturale è consistita in un attacco violento e frontale contro la cultura della pace. In Italia, in base alla Costituzione, è normale essere pacifisti, mentre è patologico essere guerrafondai. Oggi questo non è più accettato dalle élite politiche e mediatiche e i pacifisti sono diventati “pacifinti” o ritratti addirittura come criminali. Questo tentativo di sostituire la cultura della pace con la cultura della guerra avviene in molti modi. Uno di questi è l’esaltazione dei caduti ucraini, delle armi americane più sofisticate, del sangue in battaglia, ma anche la glorificazione di Zelensky come nuove eroe guerriero proposto come modello pedagogico agli adolescenti italiani.

Tutto questo è funzionale a creare il sostegno popolare verso due nuove guerre che la Casa Bianca impone all’Italia di combattere contro la volontà della grande maggioranza dei cittadini: quella in corso con la Russia in Ucraina e quella che si profila con la Cina. A Giorgia Meloni, Biden chiede di cancellare ogni accordo commerciale con Pechino e di dare un contributo militare con l’invio della sua nave da guerra più importante, la Cavour, nei mari orientali più pericolosi.

Il 14 giugno 2021 a Bruxelles, Biden aveva ottenuto che la Nato pubblicasse un documento in cui, oltre ad annunciare che l’Ucraina sarebbe entrata nell’Alleanza atlantica, indicava la Cina come nemico collettivo. Quel documento, approvato dal governo Draghi, significa che l’Italia ha accettato di organizzarsi militarmente contro la Cina nell’inconsapevolezza degli italiani.

Per concludere, non basta che gli italiani si battano per impedire che l’Ucraina venga trasformata nella Siria d’Europa. È necessario capire che il vero problema dell’Italia del 2023 non è la sostituzione etnica, bensì la sostituzione culturale: la sostituzione della cultura della pace con la cultura della guerra. Si tratta di un’operazione guidata dall’alto che deve essere contrastata dal basso, iniziando con il sostegno al referendum contro l’invio di armi.

Alessandro Orsini