Intanto per molti piccoli Comuni emerge con prepotenza il problema degli anticipi da erogare alle imprese affidatarie dei lavori
Sullo sfondo, il ripristino della democrazia diretta per le Province che però sembra focalizzato più sul reinserimento dei posti e dei ruoli politici che non su un effettivo recupero di risorse e competenze funzionali.
Il Governo Meloni chiede asilo sul Pnrr. No, non si tratta di una semplice battuta o di un gioco di parole fine a se stesso: è semmai la presa d’atto della circostanza che, mentre l’operato di palazzo Chigi rimane sotto i severi riflettori di Bruxelles per quanto riguarda la terza rata – non ancora erogata nonostante l’esclusione dei contestati stadi di Firenze e di Venezia dal lotto dei progetti ammissibili -, non di migliore salute godono le prospettive connesse allo sblocco della quarta tranche. Quest’ultima, inizialmente fissata per giugno, quasi certamente sarà oggetto di una richiesta da parte di Roma affinché possa slittare a tempi migliori, cioè a settembre, per potere in maniera auspicabile comunicare alla Commissione UE l’avvenuto completamento del fascicolo progettuale sugli asili nido.
Non è un aspetto secondario, considerato che fa riferimento a un Paese, l’Italia, in profonda crisi di natalità, che come tale è chiamato a predisporre soluzioni in grado di aumentare l’offerta di servizi educativi e ricettivi per l’infanzia per mitigare l’onere altrimenti gravante sulle famiglie e sui genitori attuali e potenziali.
Siamo in un momento in cui ci si dibatte in immaginifiche riforme fiscali tese a differenziare la tassazione in funzione del fatto che si sia single, o senza figli, ovvero che si abbiano figli o se ne programmi il concepimento soprattutto da parte delle giovani coppie: ecco allora che dalle parti del MEF, a guida leghista con Giancarlo Giorgetti, si è ipotizzata l’introduzione di una maxi detrazione Irpef da 10.000 euro per ogni figlio a carico, da trasformare in erogazione diretta per i nuclei familiari incapienti, quelli cioè la cui soglia economica è tanto bassa da non consentire la presentazione del modello dichiarativo unico o 730 essenziale per poter detrarre le spese ammissibili.
Se tuttavia il tema rimane confinato al pur fondamentale capitolo tributario – avendo però sempre cura di non “punire” né discriminare sul piano impositivo i nuclei formati da persone sole in quanto magari pensionati vedovi o persone impossibilitate al concepimento naturale – lo stesso rischia di tradursi in una partita di giro contabile per le famiglie interessate, successivamente chiamate a operare rinunce improprie sul piano economico o lavorativo per bilanciare l’assenza di servizi sociali dedicati all’educazione e all’assistenza ai bambini.
Il Pnrr, concordato dall’ex governo di Mario Draghi con la Commissione europea, prevede che – sulla base dei progetti da perfezionare e formalizzare entro la metà di quest’anno – da qui al 31 dicembre del 2025 l’Italia debba realizzare integrazioni e potenziamenti nella rete degli asili nido per un totale di oltre 264.000 nuovi posti.
Dal momento che gli iter progettuali, nel corso degli ultimi mesi, hanno visto le relative proposte, in capo ai soggetti attuatori del capitolo sulle infrastrutture per l’infanzia, subire alcune centinaia di modifiche, ecco che la rata del Pnrr di giugno, quella che dovrebbe inglobare i “nidi”, minaccia di slittare alla fine della stagione estiva, pena la rinuncia a un intervento decisivo per il rilancio delle politiche familiari e il sostegno alla genitorialità e alle politiche di incentivazione alle nascite.
Il centro di coordinamento è il ministero dell’istruzione e del merito, ma il ruolo del territorio, cioè dei Comuni, molti dei quali di media e piccola consistenza demografica, è centrale. Ma sotto i campanili risuonano rintocchi poco rassicuranti in ordine allo stato di avanzamento dei procedimenti connessi al Piano di ripresa e resilienza.
Agli enti municipali, va ricordato, sono assegnati 40 miliardi sui 191 totali del recovery plan, in ambiti settoriali diversi dalla messa in sicurezza idrogeologica alla rigenerazione dei centri urbani, dalla promozione dell’autosufficienza energetica ai servizi educativi. A oggi risultano essere state portate a bando 35.000 gare per un importo corrispondente al 50 per cento delle assegnazioni. Il che ha determinato, soprattutto per le municipalità più piccole, una concentrazione pressoché esclusiva delle proprie risorse professionali e organizzative sul Pnrr, trascurando le altre politiche di investimento o raggiungendo punti di compromesso come il finanziamento di opere di programmazioni preesistenti con i nuovi fondi europei.
I problemi iniziano però subito dopo il perfezionamento della fase progettuale, quando successivamente alla assegnazione dei lavori le Amministrazioni comunali dovranno anticipare alle aziende incaricate una somma pari al 90 per cento dell’intero valore dei lavori da realizzare.
Un vincolo che, in assenza di cambiamenti al regime di contabilità e in mancanza di integrazioni ai decreti governativi collegati al Pnrr, rischia di mandare in sofferenza molti Comuni e di incagliare le stesse imprese, rendendo indispensabile in sempre più casi l’intervento integrativo del settore bancario. Il quale deve comunque a propria volta agire sulla base di un rigido sistema di garanzie alla base delle possibili e dei margini effettivi di erogazione di credito in conto anticipi.
Sullo sfondo, assistiamo al dibattito governativo e parlamentare volto a ipotizzare il ritorno alla democrazia diretta nelle Province con l’elezione popolare dei Presidenti e dei Consigli: discussioni che vengono interpretate dalla pubblica opinione come la volontà di ripristinare posti e ruoli politici dopo la riduzione del numero dei parlamentari, senza che a ciò corrisponda un ripensamento rafforzativo delle competenze finanziarie e tecnico funzionali, soprattutto in fatto di manutenzione ordinaria e straordinaria di strade e scuole e di assistenza progettuale al sistema dei Comuni. I tre grandi nodi su cui il Pnrr rischia di fallire.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




