Da Istat a Eurostat, la più aggiornata misurazione del livello generale dei prezzi in Italia scatta una fotografia che numericamente potrebbe essere il titolo di un celebre film di Fellini: otto e mezzo. Invece, siamo in presenza del più classico esempio della realtà che supera la finzione
A tanto, infatti, si è spinto il rincaro del costo della vita nel nostro Paese, addirittura un punto sopra la media dell’Unione Europea.
Nella disamina di quelli che nella letteratura economica si chiamano dilemmi del prigioniero o paradossi, eravamo abituati a imbatterci nel termine composto di stagflazione: vale a dire, uno scenario di macroeconomia keynesiana in cui il ristagno del reddito nazionale si accompagna a livelli sostenuti di carovita nonostante una domanda per consumi claudicante e molto debole.
Adesso, tuttavia, sono maturi i tempi per coniare un nuovo neologismo, dal momento che quello sopra ricordato non lo è più e fa oramai parte del nostro dizionario quotidiano: potremmo infatti chiamare “proflazione” (con una o due effe, poco importa) il fenomeno, fino a qualche tempo fa considerato inedito, di un andamento inflazionistico sospinto, in via principale, non dalla pressione dei salari bensì da quella dei profitti messi a segno dalle imprese appartenenti a determinate categorie di servizi energetici, finanziari e distributivi.
Nella pratica, i listini finali, praticati al dettaglio al grande pubblico dei consumatori, non assumono una traiettoria discendente neppure quando a diminuire sono i costi delle materie prime a partire dall’energia e dai fattori della produzione per l’agricoltura.
Questo aspetto, che promette di diventare strutturale a politiche economiche invariate e preesistenti, è stato rimarcato nelle proprie note ufficiali dalla Banca centrale europea e dalle dichiarazioni della sua Presidente Christine Lagarde, nonché nelle considerazioni del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.
Un dilemma che ne genera un altro, intimamente connesso, che potremmo – sempre arricchendo il nostro vocabolario neo keynesiano – denominare “tasso-flazione”: quando cioè una politica monetaria rigorista e volta al monetarismo, come è nella missione assegnata dal trattato di Maastricht alla BCE, non rende più possibile garantire una certa stabilità dei prezzi, provocando invece una serie di restrizioni nei crediti, nei finanziamenti e nella liquidità circolante fra i ceti sociali intermedi, senza che a esse facciano seguito riduzioni nel tasso di inflazione cosiddetto “core”, quello che cioè misura il costo della vita al netto delle oscillazioni dei fattori energetici e agricoli.
Come uscire da questo nuovo dilemma del prigioniero originato dagli effetti della fase post pandemica e della guerra russa in Ucraina? Semplice: riscoprendo la Costituzione del 1948 nella sezione relativa ai rapporti economici e al mai attuato articolo 46, laddove viene statuito che la Repubblica – intesa come coordinazione dei pubblici poteri dallo Stato centrale alle Regioni agli enti territoriali e funzionali – promuove la dignità del Lavoro e la funzione sociale, oltre che necessariamente economica, delle Imprese, favorendo modalità per la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle stesse.
Non si tratta di una tentazione collettivista, bensì al contrario di una formula per ricostruire un dialogo positivo e virtuoso tra salari e profitti, evitando una eccessiva ingerenza fiscale dello Stato e degli altri pubblici poteri e realizzando l’obiettivo del riequilibrio e della distribuzione dei benefici economici tra Lavoro e Capitale assicurando la produttività del primo e la redditività del secondo, e lasciando al Fisco il compito di detassare gli strumenti finalizzati a questa collaborazione all’interno delle aziende e delle filiere aziendali unitarie.
In questo senso si muove la recente proposta legislativa formalizzata dalla CISL, il secondo più rappresentativo Sindacato del lavoro dipendente italiano guidato dal segretario generale Luigi Sbarra, che introduce nell’ordinamento giuslavoristico nazionale il principio della partecipazione declinato in termini gestionali, organizzativi ed economico finanziari, riprendendo appieno la filosofia del compianto Giulio Pastore, tra i padri costituenti dell’articolo 46 e successivamente fondatore dell’organizzazione sindacale di ispirazione cattolica.
Sarebbe un balzo evolutivo non di piccolo conto, a conferma di come la nostra Costituzione debba essere applicata prima di immaginarne cambiamenti continui.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




