L’opposizione turca ha un leader, Kemal Kılıçdaroğlu. E ha un simbolo: quello del cuore, disegnato con le dita delle mani.
C’erano decine di migliaia di persone ad alzare al cielo quel simbolo ad Ankara venerdì, all’ultimo comizio dell’uomo che sfida il Sultano, quel Recep Tayyip Erdoğan che è al potere in Turchia da vent’anni.
Il voto presidenziale di domenica 14 maggio dirà se l’ambizioso proposito di dare un volto nuovo al Paese avrà basi solide, ma certo per la prima volta il potere di Erdoğan è a rischio: i sondaggi segnalano una sostanziale parità fra i due candidati, se non un leggero vantaggio per lo sfidante. Se nessuno supera la metà dei voti validi, sarà un ballottaggio due settimane dopo a decidere il futuro della Turchia.
Kılıçdaroğlu ha invitato i suoi a votare senza preoccupazione. Ha detto che la sua campagna elettorale ha lavorato per un anno e mezzo a evitare brogli.
Dalla sua parte non c’è solo il partito laico centrista CHP, ma un’alleanza che potrebbe raccogliere anche il sostegno del partito curdo HDP – messo sostanzialmente fuori legge dal governo, che ha fatto arrestare i suoi leader.
E c’è tutta quella parte del Paese che guarda all’Occidente ed è preoccupata per la progressiva compressione della democrazia operata da Erdoğan.
Il quale invece conta sul suo elettorato più fedele: il vasto popolo tradizionalista dei piccoli centri, religioso e conservatore, che negli ultimi vent’anni ha visto crescere verticalmente il proprio peso sociale ed economico.


