IL 1994 È ORMAI LONTANO, MA MILLE COMUNI RESTANO AD ALTO RISCHIO
Le apocalittiche immagini provenienti dall’Emilia Romagna, affondata da una valanga d’acqua che ha travolto vite umane, abitazioni e imprese, in Piemonte e ancor più nel Cuneese hanno riportato alla memoria la tragedia del fiume Po del 1994: un evento che avrebbe cambiato la cultura della gestione del rischio idrogeologico in senso di strategie preventive e di progetti infrastrutturali.
Tanto che, se molto rimane ancora da fare, l’attuale stato di allerta dei torrenti e dei corsi d’acqua, pur colorando di arancione un territorio originariamente fragile e orograficamente complesso, non è tale da generare uno stato di panico collettivo ma comporta impegni ben precisi che devono essere assunti per completare dotazioni di opere pubbliche ferme oramai da decenni e in alcuni casi da più di un secolo.
La Regione Piemonte, con provvedimento attivato dal Governatore Alberto Cirio e dall’assessore alla difesa del territorio Marco Gabusi, ha disposto l’operatività del servizio di pronto intervento della Protezione civile lungo le 24 ore e invitato i cittadini a limitare i propri spostamenti alla stretta urgenza.
Nel mese di gennaio del 2023, il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, che proprio nella giornata di ieri ha incontrato il Sindaco di Torino e dell’area metropolitana Torinese Stefano Lo Russo, dispose un contributo di complessivi 30 milioni di euro a favore della Regione subalpina per la mitigazione del rischio idrogeologico, distribuito fra otto Comuni di vallata.
Chiaramente, risorse che non bastano, se si considera che quanto è avvenuto in Emilia Romagna e quanto sta avvenendo in Piemonte è la rappresentazione plastica del paradosso apparente generato dal cambiamento climatico: il passaggio da una condizione di protratta siccità a una in cui in due giorni precipitano gli stessi millimetri di pioggia di due mesi. Con l’aggravante di terreni che nel frattempo sono divenuti aridi e non riescono più ad assorbire le precipitazioni piovose destinate pertanto a finire fuori controllo.
È notizia di ieri che l’area dei Murazzi di Torino è stata precauzionalmente chiusa al pubblico per il rischio di esondazioni del fiume Po; quello stesso asse fluviale il cui livello nelle trascorse settimane era sceso al di sotto del livello di guardia a causa proprio dell’assenza totale di piogge.
Uno scenario a cui ci dovremo abituare, come da tempo cercano di spiegare gli analisti e meteorologi, sebbene a mancare abbastanza platealmente resti il livello politico, se è vero che molti fondi del Pnrr, dedicati alla resilienza climatica del territorio, rischiano di non venire utilizzati per l’accumulo di molti ritardi procedurali nelle progettazioni. Facendo così fallire il bersaglio di condurre a buon fine quelle opere impiantistiche funzionali a un altro tipo di accumulo: quello di oro blu, che da veicolo di tragedie può diventare un polmone di vita se stoccato e conservato nei momenti più siccitosi e se incanalato in quelli maggiormente piovosi.
Massimo Gargano, Presidente di Anbi, l’associazione nazionale per le bonifiche e le irrigazioni, ha stimato che nella regione ai piedi delle Alpi siano ad alto rischio idrogeologico quasi tremila chilometri quadrati e oltre mille Comuni per lo più di piccole e piccolissime dimensioni, e come tali non in grado di sorreggere piani di messa in sicurezza.
In Piemonte, ha ancora ricordato Gargano, nei tempi di mancate precipitazioni piovose si caratterizza per essere il territorio più arido della Penisola, però a oggi sono presenti soltanto quattro invasi mentre ne servirebbero come minimo altri dieci, già oggetto delle relative progettazioni, che consentirebbero di trattenere almeno 25 milioni di metri cubi d’acqua a beneficio di 17.000 ettari di campagne.
Da rivedere, poi, il capitolo dei finanziamenti, allo stato attuale decisamente insufficienti, perché servirebbero almeno 140 milioni di euro all’anno, la cui attivazione permetterebbe peraltro di attivare e stabilizzare oltre 3000 posti di lavoro.
Dall’acqua – ha sottolineato infine il dottor Gargano – dipende la produzione dell’ottantacinque per cento del made in Italy, una parte del quale risiede nelle risaie che formano parte integrante della storia del patrimonio rurale e produttivo subalpino, oltre a costituire una sorta di diga orizzontale naturale che rende i relativi terreni capaci di assorbire in ogni momento e contingenza le precipitazioni piovose.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




