PRODUZIONE INDUSTRIALE E RISPARMIO, DECLINI PARALLELI DI PRIMAVERA

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Quanto acclarato dalle statistiche di Istat e Fabi – il sindacato federativo dei bancari – rispettivamente su produzione industriale, congiunturale e tendenziale, di aprile, e su andamentali dei risparmi e della ricchezza finanziaria familiare a tutto marzo, è la rappresentazione combinata di quanto siano interdipendenti, al netto di eventuali fenomeni speculativi, l’economia reale, della manifattura e dei consumi, e quella finanziaria

Le quali non possono essere separate, se non per limitati periodi in cui i magazzini delle fabbriche si riempiono di scorte e la liquidità rincorre i rendimenti derivati e le differenze degli spread e dei tassi di cambio. Oltre a ciò, il declino è destinato a colpire, quasi contestualmente, entrambi questi aggregati. La cui caduta era già stata ampiamente annunciata fin dagli inizi del corrente anno, allorquando sarebbe stato del tutto tristemente ovvio un cedimento dei settori produttivi e dei saldi di conto corrente e deposito di fronte alla crescita fuori controllo delle tariffe energetiche e dei prezzi di approvvigionamento delle materie prime agricole e dei materiali per le costruzioni.

Cosicché, mentre su base annua la produzione manifatturiera è scesa verticalmente di oltre il 7 per cento, le giacenze bancarie delle famiglie si sono assottigliate di 61 miliardi e la complessiva ricchezza finanziaria ha ceduto alla tassa impropria dell’inflazione poco meno di 90 miliardi di euro.

Una duplice anzi triplice Caporetto senza appello che ha denotato una primavera gelida introdotta dalle stranezze dei cambiamenti climatici, in una sorta di tragico parallelo, e che ha fatto seguito a un inverno 2022 nel quale i ritardi decisionali della UE sul tetto al prezzo del petrolio e del gas importato era chiaro che si sarebbero riflessi in misura assai impietosa sui trimestri a seguire.

Cosicché, in Italia abbiamo assistito al fenomeno di una crescita in proiezione del prodotto interno lordo, prevista in assenza di un incremento simmetrico del prodotto industriale, anzi e peggio in concomitanza di un tracollo del medesimo. Un PIL sospinto dai venti favorevoli delle esportazioni che hanno consentito lo svuotamento dei magazzini aziendali, pur in assenza di nuovi incentivi produttivi. Ma che adesso, stante l’ingresso della Germania in recessione tecnica, potrebbe esso stesso rallentare i propri ritmi incrementali a causa del blocco di intere filiere a partire da quelle meccaniche e dai distretti più energivori.
Del resto, non è pensabile un reddito nazionale le cui sorti siamo sorrette unicamente dalle esportazioni e dall’effetto di spiazzamento delle importazioni rispetto al consumo sempre più recessivo di beni interni. Che da qualche tempo ciò sia un dato di fatto, lo ha confermato indirettamente il ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, proprio commentando il dato del calo verticale dell’indicatore delle fabbriche basate in territorio italiano.

Soprattutto, come è stato evidenziato dal presidente della Consob, l’ex ministro Paolo Savona, non è più socialmente tollerabile una inflazione che determini l’adeguamento al rialzo del gettito fiscale – per effetto del meccanismo del fiscal drag sui prezzi al dettaglio – ma non un analogo adattamento dei salari oramai irrigiditi nominalmente da moltissimi lustri.

Il protrarsi di una tale inflazione, paragonabile al mostro mitologico di un’idra a più teste, crea anzi il pericolo di crescenti tensioni sociali lesive, in ultima istanza, della stessa tenuta democratica, imponendo una politica monetaria che sia capace di rifuggire il monetarismo e di raccordarsi, grazie alle riforme intraprese sul mercato dei capitali e delle monete digitali decentralizzate riconosciute, al sistema delle produzioni nazionali strategiche e delle piccole e medie imprese.

Perché, per quanto il diritto comunitario europeo del trattato di Maastricht possa essere riconosciuto come gerarchicamente prevalente su quello domestico nostro, rimane un dato di fatto che la politica monetaria della BCE non possa né debba entrare in conflitto con la prima parte della Costituzione italiana, laddove quest’ultima impone ai poteri pubblici repubblicani di presidiare il risparmio, tutelare la sua integrità di fronte alla tassa impropria dell’inflazione e indirizzarlo al sostegno dei complessi produttivi del Paese reale. In ciò deve essere espressamente istituzionalizzato il ruolo concorrente della BCE come prestatore e sottoscrittore di ultima istanza dei debiti pubblici, affinché uno Stato come l’Italia possa destinare quote crescenti del proprio avanzo primario non per fare fronte alla massa degli interessi passivi e degli ammortamenti dei BTP bensì per introdurre interventi di detassazione del risparmio e dei programmi di educazione finanziaria, dei salari e degli utili reinvestiti negli ammodernamenti aziendali.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI