AUTO E ACCIAIO, LA DOPPIA “A” CON CUI URSO INTENDE AUMENTARE IL RATING DELL’INDUSTRIA ITALIANA

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Il ministro di Fratelli d’Italia, delegato alla reggenza del dicastero di Via Veneto alle imprese e al made in Italy, ha sulla propria scrivania una serie di dossier che si riconducono sostanzialmente al filone siderurgico e a quello dell’automotive, sullo sfondo di una transizione ecologica e digitale di cui il nostro Paese, nell’attuale cornice direttiva della UE, rischia di pagare uno dei prezzi più elevati in termini di tenuta degli assetti produttivi manifatturieri

Più di recente, proprio al fine di poter contare su maggiori risorse con le quali garantire una transizione indolore dal punto di vista dei numeri della produzione e degli occupati, il ministro Urso si è dichiarato disponibile a recepire, in sede di revisione del Pnrr da portare a Bruxelles prima della pausa estiva, una quota di fondi europei del recovery plan distolti da quei progetti di più complessa realizzabilità entro il 2026. Finanziamenti che viceversa sarebbero vitali per sostenere il pacchetto dei super e iper ammortamenti fiscali di industria 4.0 e di transizione 5.0, sui quali si fonda un pilastro importante del disegno di legge recentemente adottato da palazzo Chigi per tutelare il made in Italy e istituire il fondo sovrano da un miliardo di euro basico con effetto di leva moltiplicativa su ulteriori donazioni e contribuzioni pubbliche e private anche da investitori istituzionali esteri.

Il ministro Urso, che assieme alla Premier Giorgia Meloni è stato ospite della rinomata masseria stellata del giornalista e volto di Rai uno Bruno Vespa in Puglia, ha posto l’accento – giocando in casa – sulle vicende della ex Ilva oggi Acciaierie d’Italia, sollecitando i vertici aziendali – espressione dell’azionista privato Arcelor Mittal – a esibire al più presto il piano industriale da condividere per il decollo del sito che palazzo Chigi intende rendere la più grande fabbrica siderurgica green d’Europa. Un obiettivo che si staglia in una contingenza internazionale che vede sì l’Italia consolidarsi come secondo produttore continentale di acciaio, ma sulla base di numeri in calo che riflettono un arretramento globale più generale, sintomatico di un problema tanto dal lato dell’offerta, quanto dal lato di una domanda che per lungo tempo è stata fiaccata dagli alti costi della bolletta elettrica e del gas gravante sui settori più energivori.

L’orientamento di Adolfo Urso e della Premier Meloni è di portare l’azionariato pubblico subito al 60 per cento, attraverso un provvedimento ad hoc che trasformi il finanziamento di 680 milioni di euro in aumento di capitale riservato al socio pubblico statale, rappresentato nel caso specifico dalla società Invitalia.

Una soluzione sul modello francese, che induce a ritenere che il Governo in carica intenda esplorare, per riappropriarsi delle potestà di politica industriale non gestionale ma di governance regolatoria, il modello francese con cui il Governo di Parigi esercita un diretto controllo sulle fabbriche appartenenti a settori strategici per lo sviluppo, la sicurezza e la mobilità di persone e merci.

E qui possiamo alla seconda “A”, che sta per auto: il titolare del dicastero di Via Veneto è stato schietto nel rivolgersi alla famiglia Agnelli Elkann e all’amministratore delegato Tavares, esortando Stellantis, la società erede di Fiat e di FCA, a portare la produzione annuale di automobili in Italia a quota un milione di vetture, esattamente come già avviene in territorio d’Oltralpe, con la famiglia Peugeot ora socia forte di Stellantis, e contro l’attuale livello di poco più di 470.000 veicoli ritenuto eccessivamente basso e non in linea con il potenziale degli impianti attivi nel nostro Paese.

Da alcune parti, compresi settori della Confindustria di Carlo Bonomi, si è addirittura ventilato e auspicato un ingresso dello Stato italiano in Stellantis, suo modello di Parigi, da attuarsi per il tramite dell’intervento di Cassa depositi e prestiti, di fatto sempre di più la nuova IRI erede del glorioso Istituto di ricostruzione industriale che ha accompagnato il Novecento delle partecipazioni statali nostrane fino al 1993.

Va ricordato che l’Eliseo di Emmanuel Macron, attraverso questa formula di azionariato, esercita una immediata potestà di merito nelle politiche industriali di governo di due grandi colossi che, per ironia della sorte, sono entrambi di origine italiana e subalpina: la mitica Fiat ferroviaria, oggi Alstom, e appunto la Fiat ora Stellantis.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI