MES: L’EUROPA NON SCENDE A PATTI, RATIFICA INEVITABILE PER L’ITALIA?

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Nonostante i tentativi del Governo Meloni di subordinare il processo nazionale di ratifica, del riformato fondo salva Stati, all’ottenimento di qualche concessione a favore di Roma sulla riscrittura del patto di stabilità e crescita, in corso a Bruxelles, gli spiragli per palazzo Chigi diventano ogni volta di più un vicolo stretto e poco agibile

Sebbene la Premier, nel corso della propria intervista rilasciata a Bruno Vespa nel corso del forum nella rinomata masseria di quest’ultimo, abbia definito il Mes alla stregua di uno stigma – ossia un marchio negativo e molto poco rassicurante per i mercati a danno del Paese cui viene affibbiato – la ratifica sembra dover fare parte dell’ordine ineluttabile dei prossimi immediati eventi.

Il primo dei quali sarà a Roma, alla Camera, il 30 giugno, allorquando verrà avviata la discussione del progetto di legge delle opposizioni per obbligare lo Stato italiano alla ratifica della riforma del trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità. Riforma che, per conto del Governo Italiano, venne discussa e portata avanti, nelle sedi della UE, dagli allora premier Giuseppe Conte e ministro Roberto Gualtieri, prima dello scoppio della pandemia sanitaria mondiale e in vigenza del patto giallorosso tra Cinquestelle e PD.

Il resto è storia più recente, e passa anche tramite la scelta del successivo esecutivo Draghi di non procedere al recepimento per non contrariare gli alleati leghisti che erano entrati nella compagine ministeriale dell’ex Banchiere centrale.

La tesi di Giorgia Meloni è che, oltre a rappresentare uno stigma, il Mes debba fare parte di una più ampia analisi che abbracci l’intera architettura del sistema della finanza pubblica comunitaria: ergo, non ha senso per il nostro Paese ratificare la nuova versione del fondo salva Stati se nel frattempo la riscrittura del patto di stabilità continua a cristallizzarsi sulla cultura dell’austerità e sul vincolo a procedere a ritmi troppo repentini di riduzione dei debiti pubblici in relazione al PIL.

La leader di Fratelli d’Italia ha chiesto in più occasioni che dai parametri di calcolo del deficit e del debito, che concorrono ai fatidici 3 e 60 per cento, siano esentate alcune categorie di investimento statale, per esempio quelle attinenti alla transizione ecologica e digitale che sono fondamentali per attuare con puntualità e serenità molti dettami del Pnrr.

Da Bruxelles, le repliche all’Italia puntano però tutte sulla circostanza che i due capitoli vanno tenuti divisi e opportunamente separati, come a voler dire che il Mes dovrebbe essere ratificato come tale e non come oggetto di scambio per spuntare clausole contabili più favorevoli nella revisione di quel fiscal compact sospeso negli anni prima della pandemia e poi dell’inflazione da guerra ma destinato a tornare vigente e cogente dal 2024, a meno che – ma se parlerebbe solo tra giugno e settembre del prossimo anno – il calo di consensi ai socialisti prosegua e diventi tale, dopo il rinnovo del Parlamento europeo fra dodici mesi esatti, da delineare chiaramente l’asse tra Ppe e Conservatori alla base della Commissione che subentrerà all’attuale grosse coalition guidata da Ursula von der Leyen.

Secondo Meloni e il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, chiamato a mediare fra resistenze avverse a Roma e pressing pro ratifica a Bruxelles, non ha più senso che il Mes continui a mantenere immobilizzate risorse ingenti, dell’ordine di decine di miliardi di euro, nella consapevolezza che non verranno mai utilizzate a causa delle legittime reticenze dei singoli Stati UE, compresi quelli relativamente più in difficoltà di altri nei propri bilanci, a richiedere l’intervento “salvifico” di un fondo che era sorto, tra il 2010 e il 2011 – con l’assenso peraltro anche dell’allora Governo Berlusconi – come alternativa al fondo monetario Internazionale.di Washington.

L’attuale corso politico amministrativo di palazzo Chigi vorrebbe viceversa che il Mes fosse sostituito da un altro strumento volto a favorire, attraverso la costituzione di un fondo sovrano di garanzia, un processo di mutualizzazione dei debiti pubblici europei di nuova emissione, riducendo gli spread gravanti sui Paesi più indebitati e agendo unitariamente sul mercato dei capitali così da permettere il rifinanziamento sostenibile dei passivi statali e da liberare importanti margini aggiuntivi di politica fiscale per la ripresa di consumi familiari e investimenti aziendali: le due maggiori incognite certificate dal più recente rapporto Istat sul crollo della produzione industriale di oltre sette punti percentuali tendenziali.

Di altro avviso sono i sostenitori della ratifica della riforma del Mes: secondo l’ex senatore del PD Carlo Cottarelli, già alto dirigente del FMI e nel 2018 premier designato da Sergio Mattarella prima che nascesse il Governo gialloverde di Giuseppe Conte, la ratifica del nuovo Mes sarebbe fondamentale per l’Italia dal punto di vista anzitutto reputazionale – poiché dopo la Germania perfino la Croazia lo ha introdotto nel proprio ordinamento – a maggior ragione per un Paese che ogni anno deve rifinanziarsi sui mercati per 300 miliardi, e poi perché all’interno della riforma, sottoscritta a livello intergovernativo tra il 2019 e il 2020, sono contenute delle previsioni di sicuro interesse per noi.

La prima di esse è l’estensione della copertura assicurativa sui depositi, integrando l’attuale fondo di tutela interbancaria per i risparmiatori e correntisti; la seconda è una semplificazione delle procedure con cui può essere proceduto a una rinegoziazione del debito pubblico e con cui la Banca centrale europea può operare l’acquisto in via prioritaria e privilegiata di titoli di Stato a breve termine e scadenza dai Paesi in maggiore difficoltà economica e contabile, salvandoli dagli spread di mercato. Insomma, una sorta di integrazione del celebre “whatever it takes” pronunciato da Draghi al proprio arrivo allo scranno più alto della Eurotower di Francoforte.
L’Italia, inoltre, grazie a una quota pari al 17 per cento del capitale del Mes, avrebbe in ogni momento la possibilità di opporre il veto su decisioni considerate ostili, impedendo il raggiungimento della maggioranza qualificata fissata nell’85 per cento delle quote e necessaria al perfezionamento di ogni delibera.

Proprio i titoli di Stato però, obietta il Vicepremier e capo della Lega Matteo Salvini, sarebbero il principale motivo per ritenere superato il Mes e immaginarne il mutamento in un fondo meglio fruibile da chi fa parte della UE: il successo consistito nell’alto livello di sottoscrizioni del titolo BTP valore, corrispondente a una ventina di miliardi rapidamente acquistati dai risparmiatori italiani, conferma che laddove si crea un clima di stabilità e di fiducia politica interna, non vi è più bisogno di un fondo salva Stati sul modello greco.

Quale di queste tesi risulterà prevalente il prossimo 30 giugno in Parlamento?

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI