(DIS)UNIONE EUROPEA: AFFONDA NELL’AUSTERITÀ E NEL MEDITERRANEO

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La tragedia del Peloponneso, in territorio marino greco, supera per numero di lutti quella accaduta nel 2013, esattamente dieci anni fa, al largo della Sicilia

Si parla di diverse centinaia di vittime di varia nazionalità, e di almeno cento bambini concentrati nella stiva del peschereccio che era partito dalla Libia con l’obiettivo di raggiungere l’Italia, considerata più indulgente della Grecia in tema di politiche immigratorie di asilo e di conferimento di status temporanei.

Un dramma che ha investito 750 vite umane e di fronte al quale le autorità di Bruxelles sono obbligate a manifestare la propria impotenza e a richiamare le responsabilità dei singoli Stati. Basterebbe già questo a dichiarare il fallimento, già in precedenza conclamato, del regolamento di Dublino e dell’iniziativa Frontex, con la quale si è cercato di unificare alcuni controlli di polizia lasciando però intatte legislazioni e potestà nazionali fra loro concorrenti e non di rado confliggenti, come già avvenuto fra Italia, Francia, Grecia e Malta; e come rischia di avvenire tra la UE da una parte e la Polonia e l’Ungheria dall’altra in merito al tanto declamato patto di Lussemburgo sulla ricollocazione obbligatoria dei migranti e sui conseguenti piani di ristoro. Accordo fragile, tipico di una organizzazione non federale ma intergovernativa quale è l’Unione europea, e che si appresta a essere sommerso da ricorsi e contenziosi presso gli uffici giudiziari comunitari prima che lo stesso possa minimamente diventare effettivo.

Surreale, nella sua tragicità, la dinamica presupposta dei fatti che starebbe emergendo: Frontex avrebbe sì comunicato l’allarme al momento di intercettare l’imbarcazione, le autorità di polizia costiera greche si sarebbero sì offerte di assistere i migranti in mare, ma chi conduceva quel precario e sovraffollato peschereccio avrebbe preferito rifiutare quel tipo di assistenza e proseguire verso l’Italia ionica pur nella consapevolezza di dover allungare il percorso della navigazione oltre ogni umana possibilità di sopportazione di un simile tragitto e di tenuta del natante partito dalle coste libiche.

La ragione della scelta di preferire il nostro Paese a quello ellenico risiederebbe nella circostanza che, a seguito dello scoppio della prima ondata pandemica globale, il governo di Atene, guidato dalla coalizione di centrodestra del Premier di Nuova democrazia Mitsotakis, approvò tre anni fa una legge che restringeva, fino a negarlo nei fatti, il diritto all’asilo e alla protezione umanitaria temporanea per i cittadini appartenenti a determinate etnie e nazionalità, in particolare mediorientali e nordafricane, in quanto riteneva la vicina Turchia non più affidabile nel governo della prevenzione dei flussi migratori verso le frontiere della UE.

La quale Unione non ha mai esclamato alcuna palese o esplicita contrarietà nei confronti di un provvedimento confliggente con qualsiasi intesa intergovernativa e con ogni possibile intervento volto a scongiurare lutti in mare.

Ancora nelle scorse ore, di fronte al Premier di Malta Abela ricevuto a Roma a palazzo Chigi, la nostra Premier Giorgia Meloni ha ribadito che non ha molto senso parlare di contenimento dei movimenti secondari, quelli cioè che avvengono dal sud al nord del vecchio Continente, quando continua a mancare una regolamentazione condivisa in forza della quale le frontiere esterne dell’Unione, quale che ne sia la giurisdizione statale di origine, andrebbero riconosciuti come confini comunitari come tali da presidiare dalle autorità di Bruxelles a tale fine individuate.

L’ennesimo lutto nel Mediterraneo, a oggi il più grave mai verificatosi, accade inoltre a distanza di una settimana dal vertice di Tunisi promosso dalla delegazione formata dalla stessa Meloni, dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte con l’obiettivo – da demandare a un prossimo memorandum di dettaglio – di responsabilizzare le istituzioni tunisine nella prevenzione delle partenze illegali verso l’Europa e nel contrasto da opporre seriamente al traffico di esseri umani in mano alle organizzazioni criminali.

Obiettivo centrato solo in linea di vago principio, stante la dichiarata indisponibilità dei vertici statali tunisini a sottoscrivere accordi che siano fondati unicamente sul corrispettivo di finanziamenti UE, considerati del resto non sufficienti dal Paese afro-mediterraneo, e sulla accettazione incondizionata dei circa due miliardi messi a disposizione dal Fondo monetario Internazionale con delle condizionalità giudicate troppo stringenti e non accettabili.

Quanto verificatosi però in giurisdizione marina greca è indicativo, come se non bastassero tutte le altre irrisolte questioni all’ordine del giorno, di un altro fronte rovente, quello di una Libia le cui autorità di governo – a dispetto di garanzie o rassicurazioni scritte e verbali – non sono evidentemente in grado di contrastare la tratta illegale di migranti in partenza dalle coste che dovrebbero essere sotto il controllo di Tripoli e dell’esecutivo del generale Haftar.
A ulteriore conferma di come anche l’uso delle risorse economiche, agitate come clava da mettere in movimento per indurre i Governi nordafricani a presidiare le proprie frontiere mediterranee per conto della UE e dei suoi singoli Stati, sia assolutamente inefficace nelle persistenti modalità di stampo nazionale seguite finora.

Con la conseguenza di dover assistere al freddo conteggio dei lutti da parte di una UE intergovernativa e internamente paralizzata da sterili dibattiti sul ritorno oppure no al patto di stabilità pre covid a decorrere dal prossimo anno, mentre si continua ad affondare nell’austerità e nel mare.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI