Il mondo di Berlinguer e Craxi non esiste più e questo ai nostri occhi, che li osservano oggi da un altro mondo, contribuisce a farceli vedere non solo nelle differenze ma anche in ciò che li accomunava. Nonostante tale distanza, possiamo dire che non c’è stata un’adeguata elaborazione critica di questo passato”. Giampiero Calapà, “Squarcio rosso: Berlinguer, Craxi e la sinistra in pezzi” (Bordeaux editore)
Si stava meglio quando si stava peggio può non essere il solito luogo comune a cui aggrapparsi quando intorno a noi le cose ci deludono o sembrano precipitare. Se osserviamo con attenzione il susseguirsi delle stagioni della politica italiana, fino a che punto è possibile tracciare un paragone tra l’attuale classe dirigente formata dalle Meloni, dai Salvini, dai Conte, dalle Schlein con l’epoca, per esempio, nella quale Enrico Berlinguer duellava con Bettino Craxi, quando la Democrazia cristiana era guidata da personalità come Ciriaco De Mita o Guido Bodrato?
Sono nomi questi che non pronunciamo a caso. Bodrato, che ci ha lasciati pochi giorni fa, alla soglia dei novant’anni, non era soltanto il galantuomo che molti cronisti della mia generazione hanno avuto il privilegio di conoscere e raccontare. Bodrato fu molto di più, la punta di lancia di quella sinistra Dc che aveva saputo saldare la dottrina sociale giovannea, poi culminata nella “Populorum progressio” di Paolo VI, con la spinta riformista scaturita dalle lotte operaie e dall’irrompere sulla scena dei movimenti studenteschi.
Fu la fase forse più riformatrice della nostra storia contemporanea: sul piano dei diritti (divorzio e aborto) e dei massicci interventi per dotare lo Stato di un Servizio sanitario nazionale modello (almeno finché non fu dissanguato dalla voracità del sottogoverno manovrato dagli interessi privati). Un’epoca di grandi fermenti di cui Bodrato, con la sua etica un po’ calvinista, fu sicuro riferimento. Di Ciriaco De Mita molto si è parlato martedì scorso a Montecitorio dopo la visione del film-intervista (promossa dall’avellinese doc Gianfranco Rotondi) nel corso della quale, a un anno dalla scomparsa, l’ex segretario Dc e presidente del Consiglio ha dispiegato tutta la sua lucida “cattiveria”. In particolare su Silvio Berlusconi (“uno che pensa solo ai suoi affari”) e su Matteo Renzi, già da lui massacrato in un epocale dibattito televisivo alla vigilia del referendum costituzionale del 2016, e accomunato ai tanti che “emettono suoni e non pensieri”.
Sui “duellanti” Craxi e Berlinguer e sull’epopea di uno scontro non soltanto politico ma culturale e umano, il libro di Calapà si legge come un romanzo. Due pesi massimi della politica la cui contrapposizione ha incarnato la doppia faccia della sinistra italiana – quella cosiddetta decisionista e quella popolare – che una volta venuti meno i protagonisti (uno travolto da Tangentopoli, l’altro stroncato sul palco di Padova dalla sua stessa commovente e appassionata militanza) ha lasciato la sinistra disorientata e impantanata.
Fino a oggi. Dicano i lettori se queste brevi note rievocative sono il frutto della nostalgia di chi ha vissuto quelle stagioni, o poco di più. O se guardando ciò che era l’Italia ieri farebbero volentieri a cambio con ciò che è l’Italia oggi.
Antonio Padellaro


