Esiste una questione di cui, a seconda dello schieramento politico o sociale di appartenenza, si parla da immemore tempo, nel senso di dire che quanto finora fatto sarebbe sempre troppo poco o sarebbe, al contrario, non risolutivo o sbagliato per la tipologia di intervento adottata dalla politica per fronteggiare il capitolo della presunta evasione fiscale
La questione è quella originata dalla riforma del sistema nazionale della riscossione, avviata dall’allora Governo Berlusconi nel 2005, resa operativa dal successore Romano Prodi e quindi ripresa dallo stesso Cavaliere di Arcore, assieme a Giulio Tremonti, nel senso di accrescere i poteri coercitivi dell’ente esattore tramite strumenti come l’accertamento esecutivo e le sanzioni moltiplicative.
Una piccola battuta d’arresto, rispetto a quel tipo di andamento pressante sui contribuenti, venne decretata dal tecnico Mario Monti con la famosa legge anti suicidi nel 2012, mentre l’anno dopo fu Enrico Letta a deliberare, a capo di una intesa tra PD e PdL, la impignorabilità della prima casa non di pregio su cui al più l’erario avrebbe potuto soltanto istituire una ipoteca per impedirne la cedibilità.
La foga legislativa che, tra il 2005 e il 2011, è stata portata avanti sul tema del recupero del pregresso fiscale, ha reso necessaria l’inaugurazione di un nuovo ciclo di abbattimento dei contenziosi che si verifica puntualmente oramai ogni anno e che va sotto il nome di rottamazioni, con l’obiettivo di consentire a un più ampio numero di cittadini, professionisti e imprenditori di aderire a modalità, messe a disposizione dallo stesso dicastero dell’economia e delle finanze, per pagare il proprio debito tributario, così come accertato, in misura spalmata nel tempo e sulla base di sanzioni ridotte.
Opportunità che, a ogni rottamazione indetta, trovano la manifestazione di interesse da parte di una vasta platea di persone e soggetti purtroppo (ma non sempre dolosamente) non in regola con il fisco: i quali iniziano a effettuare i versamenti delle prime rate concordate ai sensi di legge, salvo poi interrompere i pagamenti in molti casi per un sopraggiunto ritorno a problemi di liquidità rimasti irrisolti.
Ciò avviene perché il sistema delle rottamazioni non risolve i tempi alla base di inadempienze che, sul piano tecnico, non potrebbero neppure essere rubricate alla voce “evasione”, poiché si tratta di situazioni in cui le dichiarazioni obbligatorie erano state a proprio tempo compilate e presentate, ma sono poi andate incontro a verifiche di parte pubblica che hanno portato alla contestazione di errori o di omessi e carenti versamenti.
Che cosa ha messo in evidenza la Corte dei conti, nella propria relazione consuntiva sullo stato delle finanze erariali? Che il metodo delle rottamazioni non è servito a recuperare il pregresso, non è stato utile al fine di abbattere la montagna, oramai un “Everest”, di cartelle esattoriali la cui notifica ai (presunti) avviene senza oramai soluzione di continuità da parte di agenzia entrate riscossione; soprattutto, è stato inefficace rispetto alla necessità di ristabilire un sereno rapporto tra contribuente e potere pubblico impositivo e di consentire la riabilitazione di milioni di cittadini, professionisti e imprenditori nei contesti sociali e lavorativi di appartenenza.
Un fallimento totale denotato dai numeri illustrati dalla magistratura contabile: soltanto con riferimento al periodo tra il 2016 e il 2018 – vigenti i governi Renzi, Gentiloni e Conte uno – i programmi di abbattimento delle cartelle arretrate, ovvero le famigerate buste verdi, portarono all’adesione di oltre 4 milioni di soggetti fiscali passivi, tra persone fisiche e giuridiche, per un totale di quasi 54 miliardi che sarebbero dovuti entrare nelle casse del MEF e nel bilancio dello Stato, inteso come aggregato, ma che si sono fermati sulla soglia dei 20 miliardi incamerati, a fronte di 33,6 mai introitati.
Una doppia beffa: sia per i contribuenti che a vario titolo non sono mai incorsi in contestazioni di violazioni, sia anche per coloro che avrebbero voluto mettersi in regola ma non hanno potuto procedere in tal senso a causa del problema alla radice della filosofia stessa della rottamazione, che non riduce il monte dei contenziosi. La riprova arriva dal censimento del cassetto affidato alla gestione di agenzia entrate riscossione, che allo scorso 31 dicembre “vantava” crediti verso tutti noi per un totale di oltre 1153 miliardi di euro, saliti nettamente rispetto ai 1099 del 2021 e ai 999 del 2020.
Lo Stato italiano evidenzia una quota prevalente di tributi da riscuotere nei confronti di soggetti falliti, per un totale di oltre 159 miliardi di euro, mentre altri 168 e più riguardano attività cessate o persone decedute, mentre avverso i nullatenenti la complessiva pretesa erariale sommerebbe a oltre 136 miliardi di euro. Con riferimento a ulteriori 515 miliardi di euro da recuperare, il problema è invece derivato dalla sostanziale inefficacia delle azioni esecutive o conservative come pignoramenti e sequestri di quote reddituali o patrimoniali dei debitori contestati.
Quali conclusioni trarre da ciò? Le indicazioni della Corte dei conti, al netto delle polemiche dialettiche con il Governo Meloni per la vicenda dei controlli concomitanti sull’attuazione del Pnrr, offrono tutta una serie di spunti utili per procedere senza più gli errori del passato sul cammino della riforma fiscale che la Premier e leader di Fratelli d’Italia ha affidato al Viceministro delle Finanze Maurizio Leo.
Quest’ultimo, che ha dimostrato fin dal proprio insediamento una indubbia competenza tecnica e sensibilità sul tema delle sanzioni eccessive ed esorbitanti, che non renderebbero obiettivamente possibile un percorso di riabilitazione e di risanamento dei contribuenti accertati in errore o in difetto verso l’erario, dovrebbe cogliere l’opportunità per riprendere alcune lezioni e insegnamenti dall’onorevole Rino Formica, Ministro economico finanziario in molti Governi della prima Repubblica, il quale aveva dimostrato in termini non soltanto teorici ma decisamente pratici e concreti come fosse possibile armonizzare fra di loro il vincolo a un rigoroso rispetto della legge con la possibilità di utilizzare lo strumento del condono non come forma di impunità bensì come strumento di ripartenza economica legale dei contribuenti, di smaltimento dell’arretrato statale e di immediato conseguimento di somme monetarie importanti alle casse statali a fronte di contenziosi minimizzati.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




