Non si recita per guadagnarsi il pane, si recita per mentire, per smentirsi, per essere diversi da quello che si è. Si recitano parti di eroi perchè si è dei vigliacchi, si recitano parti di santi perchè si è delle carogne, si recita perchè si è dei bugiardi fin dalla nascita e soprattutto si recita perchè si diventerebbe pazzi non recitando.”
Il giorno di San Pietro e Paolo di 23 anni fa se ne andò un gigante. Un gigante in tutti i sensi. Scelse la festa di una città che non era la sua – Roma – ma che lo diventò nella maniera più completa e di cui rappresentò i vizi e le virtù, i pregi e difetti, le sbruffonate e la simpatia, l’eroismo e la codardia, nel solco di quella narrazione spietata e meravigliosa di tutto il nostro Paese che la commedia all’italiana sublimò in maniera irraggiungibile.
Fra i grandi, anzi fra gli immensi, del nostro cinema Vittorio Gassman è quello che ha posseduto la più solida e inarrivabile arte teatrale, essendo stato quasi certamente l’attore più bravo e famoso dei nostri palcoscenici. Proprio per questo risulta ancora adesso quasi incredibile come sia potuto passare da Otello di Shakespeare al fante Busacca de “La grande guerra”, da Amleto a Walter, il mascalzone di “Riso amaro”, da Iago a Peppe er Pantera de “I soliti ignoti”, da Edmund Kean a Bruno de “Il sorpasso”. Pusillanime e gigantesco allo stesso tempo. Cinico e umano: ma sempre, semplicemente strepitoso.
Gli altri esempi – i cento altri esempi – divertitevi a sceglierli voi. Ha corso sulla spiaggia con l’aquilone in mano nelle vesti di Artemio, il pugile ridiventato bambino de “I mostri” e ha dialogato alla pari con la morte in una delle scene più inattese e commoventi di Brancaleone. È difficile parlare di lui senza sconfinare nella retorica. In America se lo sono sognati un artista così. E a questo proposito una cosa mi va di aggiungerla: è assurdo che abbiano dato l’Oscar ad Al Pacino per “Scent of woman” e non a lui per “Profumo di donna”.
Beati e fortunati noi che lo abbiamo avuto e amato!
Vittorio Gassman



