BIDELLA MULTATA: SPECCHIO DI UN’ITALIA DUALE DOVE I PIÙ VULNERABILI HANNO SOLO DOVERI

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Oggi, di fronte a una inflazione “core” che non accenna a diminuire, ci sentiamo un po’ tutti nei panni della signora Francesca Galati. Perché i tragici paradossi dell’Italia presente hanno oramai eguagliato e superato quelli parodistici del Belpaese di “Fantozzi subisce ancora”

C’era una volta l’Italia piccolo borghese di Fantozzi subisce ancora: un film dei primi anni Ottanta dello scorso secolo, che inizia con una scena emblematica: i dipendenti della megaditta, entità funzionalmente non meglio identificata, che dopo avere timbrato il cartellino si fiondano nuovamente fuori dai propri rispettivi uffici per andare a svolgere secondi o terzi lavori, potendo contare sulla bonaria e sacrificale complicità del povero ragioniere nazionale, un magistrale Paolo Villaggio, il quale sarà poi il solo a venire sanzionato per assenteismo, additato dagli stessi colleghi rientrati alle scrivanie giusto pochi minuti prima del suono della campanella della fine della giornata lavorativa.

Una scena solo superficialmente divertente, ma che lascia un tristissimo retrogusto in bocca per la propria unica capacità di dipingere il Paese al contrario in cui ci troviamo. L’Italia dei privilegi e dei diritti senza doveri, contro l’Italia dei doveri senza diritti. Quest’ultima è rappresentata, oggi, dalla molto amara e toccante vicenda di Francesca Galati, 51 anni, bidella o più esattamente collaboratrice scolastica in un istituto della provincia di Vicenza, in Veneto, la quale si è vista infliggere, apprendendo la notizia della sanzione dai giornali del territorio prima ancora che dal proprio dirigente didattico, una multa di oltre 2000 euro per avergli omesso la comunicazione della seconda attività lavorativa, come barista, per ricavare un secondo stipendio necessario al sostentamento proprio e delle figlie poiché non era più sufficiente il solo salario nel pubblico impiego.

Non si trattava di un lavoro svolto in nero, bensì di una fonte di reddito che la stessa persona aveva con diligenza provveduto a indicare nella dichiarazione dei redditi del modello 730.

Che cosa emerge da questa specifica e complessiva vicenda, spia di un disagio-Paese più esteso di quanto non si immagini? In primo luogo, che il cosiddetto lavoro povero colpisce oramai e a più livelli di qualifica anche il settore pubblico, considerato fino a pochi anni fa ancora privilegiato e tutelato e in grado di assicurare una base di sostegno decoroso a chi aveva la possibilità di farne parte; in seconda battuta, che il formalismo eccessivo nell’applicazione delle sanzioni finisce con il rappresentare l’esatto opposto del concetto di equità, generando invece ulteriori ingiustizie e sperequazioni sociali.

Soprattutto in una delicatissima contingenza in cui, in termini sia chiaro presuntivi, stanno emergendo sul versante governativo e della maggioranza parlamentare episodi molto inquietanti che addirittura indicherebbero – il condizionale è d’obbligo – la volontà di alcuni rappresentanti dell’esecutivo e di alcune tra le più alte cariche statali di accreditare versioni edulcorate di condotte – proprie o di propri familiari – di cui non sarebbero stati a conoscenza diretta o per cui sarebbe da ritenersi fin da ora una assoluzione con formula piena prima di qualsiasi pronunciamento della magistratura (i casi rispettivamente della ministra Daniela Santanchè e del figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa).

Appunto perché noi presumiamo la assoluta buona fede della collaboratrice scolastica in oggetto, la quale altrimenti non si sarebbe premurata di indicare nel modello dichiarativo 730 il proprio secondo reddito lavorativo, chiediamo un diretto intervento del ministro della pubblica istruzione del governo Meloni, Giuseppe Valditara, affinché sia cancellata, con atto di autotutela amministrativa perfettamente ammissibile nel nostro ordinamento, la sanzione economica inflitta alla signora lavoratrice pubblica e madre di famiglia, senza che la stessa abbia a sobbarcarsi inopportune e non sostenibili spese legali innanzi alla magistratura civile e amministrativa.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI