Commemorazioni e ipocrisia – “L’Italia è una Repubblica fondata anche sul depistaggio”
Lo Stato, o quanto meno una parte di esso, da quarant’anni si è lasciato intimidire. E nonostante sia difficile da credere, è successo anche il contrario. La mafia si è lasciata intimidire obbedendo agli ordini dello Stato o, meglio, di una parte di esso. Insistere su pezzi di Stato deviato o servizi segreti deviati, per tentare di giustificare l’ingiustificabile, è pura retorica. L’Italia è una Repubblica fondata anche sul depistaggio. Paolo Borsellino non è morto di vecchiaia.
È saltato in aria mentre andava a trovare sua mamma. Pare che l’esplosione gli abbia fatto perdere all’istante braccia e gambe. In una delle ultime interviste parlò di Marcello Dell’Utri. Oggi Marcello Dell’Utri viene trattato con i guanti dalla stampa nostrana. Come si potrà mai sconfiggere la mafia se il 90% dei giornalisti italiani hanno un atteggiamento quasi di reverenza nei confronti di un uomo condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa? Dell’Utri ha appena ottenuto 30 milioni di euro da Berlusconi. Ebbene, Dell’Utri viene trattato come un vincitore del Superenalotto, uno baciato dalla fortuna. “B. ha scritto nel Nuovo Testamento 30 milioni a Dell’Utri. Aveva pochi giorni di vita, ma temeva la verità pure da morto” ha scritto alcuni giorni fa Travaglio. È la verità. Dell’Utri è andato in galera per aver fatto da intermediario tra Berlusconi e i principali boss di Cosa nostra palermitana. Berlusconi in carcere non c’è finito mai. È morto nel suo letto, a differenza di Borsellino. Che tenere la bocca chiusa per i due fosse un valore è cosa nota. Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, mafioso e pluriomicida, venne da loro definito un eroe.
Ovviamente il suo merito è stato quello di tenere la bocca chiusa. Come i fratelli Graviano, ma non come Gaspare Spatuzza, che osò raccontare agli inquirenti fatti sconvolgenti sulla nostra Repubblica. Fu Spatuzza, sicario di Cosa nostra, nonché uno degli assassini di Don Pino Puglisi, a rubare la Fiat 126 che esplose, con il suo carico di tritolo, in via D’Amelio. Ebbene, Spatuzza disse che nel garage dove venne collocato l’esplosivo all’interno dell’automobile si aggirava un soggetto che non aveva nulla a che fare con la mafia. Della strage di via D’Amelio si autoaccusò un tal Vincenzo Scarantino, un pesce piccolissimo di Cosa nostra. Era un depistaggio. Fu lui stesso a raccontare di aver mentito sul suo coinvolgimento spinto dall’allora capo della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. Nonostante questa confessione La Barbera fece una carriera di tutto rispetto. Questore a Napoli e a Roma, prefetto, capo dell’antiterrorismo. Nella sentenza del processo “Borsellino quater” c’è scritto che La Barbera ebbe “un ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa”.
ALESSANDRO DI BATTISTA



