Giacomo Vaccarino – La coscienza infelice – Castellamonte (TO), Baima&Ronchietti, 2021, 280 p. (258)

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Lettura che arricchisce ed ampiamente ripaga dell’impegno profuso, di un libro scritto su un argomento non facile, la pazzia, ben inquadrato storicamente nel succedersi degli avvenimenti e dei progressi, utile al profano ed anche all’esperto, un “grande e preciso Bignami” per consultare nomi, date, eventi, cambiamenti e scelte “storiche” – nei vari secoli e periodi dell’Umanità -, con in più – a latere – due arricchimenti utili a distrarre ed espandere in conoscenza e confermare l’importanza dei fatti e dell’argomento: aneddoti e racconti reali di casi specifici, ed un puntuale ed interessante divagare su come – in ogni tempo – l’arte scritta, poetizzata, dipinta e romanzata ha affrontato e descritto, talvolta con esperienze dirette o personali, l’argomento

Un excursus sull’umana “coscienza infelice” descritta partendo da cosa ne pensavano nell’antica Grecia (Euripide: punizione degli dei; Ippocrate: primo a studiare scientificamente la malattia…) – anzi, con qualche anteriore esempio Egiziano – per terminare nel XX e XXI secolo, con i crimini nazisti, Freud, Jung ed oltre, con l’avvento delle neuroscienze – la risonanza, le tomografie in supporto alla psicoterapia (T. S. Szasz, E. R. Kandel, F. Basaglia…) – che collegheranno la malattia, in molte sue forme, a disturbi dello sviluppo, a condizioni socio-ambientali e genetiche, con i risvolti artistici in A. Merini, L. Pirandello, A. Ligabue… il film Shining… l’interessante libro di M. Covacich “Storia di pazzi e di normali” (1993), ecc. Quel Basaglia che con la L. 180/1978 permise l’eliminazione dei manicomi in Italia e che, sinteticamente, definì la follia un’espressione di una crisi vitale, sociale, famigliare, esistenziale non da ”punire” con trattamenti inumani ma con il colloquio, i farmaci, le analisi.

Quante cose interessanti, utili ed anche curiose si scoprono in queste 280 pagine: Galeno, Ippocrate, Arabi… con il loro pensiero sui quattro umori il cui disequilibrio creava la malattia: sangue, flemma, bile gialla e nera; Plinio il Vecchio che incolpava la luce lunare dei problemi della mente umana; il Medioevo in cui né lo studio né la scienza avevano voce in capitolo ma solo la religione: le possessioni demoniache e la stregoneria dominavano.

Pure, il matto era accolto in molte corti, come il rovescio della medaglia del vivere, originalmente vestito, come intrattenitore e “giullare di Dio”, a cui quasi tutto era permesso. Tra il X e XIII secolo il progresso della medicina araba, tibetana e indiana…. solo per distinguerle citeremo l’importanza di considerare l’essere vivente unico, con mente e corpo (tibetana); i Veda e la medicina Ayurvedica, il libro “La misericordia nella medicina”… e poi Avicenna, Ibn Qāḍī al-Ba῾lbakkī, che portarono alla nascita in Spagna dei primi ospedali psichiatrici europei. Ecco il Medioevo e la “pazza idea” di eliminare dal cervello la pietra della follia con la trapanazione del cranio.

Arriva il Rinascimento in cui, tra l’altro, si pensava ad una vita sana di divertimento e di svago culturale, teatrale ed artistico per curare la follia. Nel Seicento nascono i primi veri manicomi.

Ovvero l’emarginazione dei “diversi”, mentre nel Settecento troviamo docce e salassi, camicie di forza e l’uso del magnetismo e dell’elettricità, ma c’era anche chi chiedeva un trattamento più umano (in Italia ed in Europa: “la liberazione dei pazzi”).

Nell’800 la follia è un aspetto soggettivo frutto di un cuore oscurato non più soggetto alla ragione, nasce anche l’ipnosi come cura, in Italia c’è Cesare Lombroso e la sua visione della malattia oggi racchiusa in un museo torinese; e poi l’elettroshock inventato nel 1938 dallo psichiatra e neurologo romano Ugo Cerletti. Insomma tra queste nostre generalizzazioni, in qualche caso forse poco chiare per estrema sintesi, scopriamo anche il tipo di cura usato: purghe, clisteri, salassi, canfora, brodaglie diverse a base di infusi di erbe, anche con il velenoso e narcotico elleboro, la mandragola, l’oppio, l’hascisc…

Scopriamo anche che la follia è sacra nell’antica Grecia; mentre nell’alto Medioevo i matti venivano ospitati nei conventi e da famiglie volontarie, dietro compenso. A Torino tra gli anni 1837 e 1852 nacquero le prime cartelle cliniche, anni in cui, in Francia, nel 1838 fu approvata la prima legge che dava diritto all’assistenza e cura ai malati di mente.

Eppure in ogni tempo – pur nel sonno generale della “mente comune” – il barlume della ragione ha illuminato a tratti gli uomini “al potere” medico-scientifico e sociale, e la società, suggerendo di trattare il folle in modo civile, come un essere che vive una condizione umana “opposta” di sofferenza, infelicità, dolore – anche per chi gli sta accanto –, per cui più che tollerato va accettato e curato in quanto non colpevole.

Un essere da liberare con modi semplici e dolci dalle sue sofferenze; la storia della follia nel mondo è la storia degli esseri umani, la storia di tutti, ora affrontata con tabù, condizionamenti, malvagità, pietà, costrizioni… poche volte con pazienza, bontà, amore, ma tendente sempre verso l’unica verità possibile e realizzabile: il rispetto del nostro prossimo – oltre il comandamento divino, traslato in etica – soprattutto dei più fragili e dei più deboli, come sono appunto questi nostri confratelli e consorelle.

A Vaccarino il merito di aver aggiornato e ricordato alla nostra quotidianità – in questo suo quarto libro e dopo tanti saggi pubblicati sul tema – un problema su cui normalmente poco ci soffermiamo, salvo poi affrontarlo forzatamente quando la cronaca ce lo impone.

Giacomo Vaccarino è vicepresidente della sezione piemontese del CISO (Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospedaliera) e socio del Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano.

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