A Palazzo Madama, la Presidenza del Consiglio e il dicastero del MEF affidano al Viceministro tecnico Maurizio Leo la difesa della norma che stabilisce la semplificazione e automazione delle azioni cautelari e conservative attuabili da agenzia entrate riscossione (AdeR) sui rapporti finanziari dei contribuenti dal profilo più rischioso, valutato come tale sulla base degli algoritmi dell’intelligenza artificiale
Nel frattempo, però, la confusione regna totale, verrebbe da dire sovrana fra i sovranisti, dentro la maggioranza di centrodestra: Giovanni Donzelli, esponente di Fratelli d’Italia e fra i dirigenti del partito della destra nazionale più vicini alla fondatrice e Premier Giorgia Meloni, nel corso di una recentissima trasmissione televisiva ha lasciato intendere che il pignoramento di un conto corrente rimarrebbe una soluzione estrema, da adottare solo nella misura in cui non vi siano più margini negoziali fra Stato e contribuente debitore, e con riferimento alle sole pendenze destinate a insorgere e aggravarsi dopo l’entrata in vigore della legge di delega fiscale e dei suoi corrispondenti decreti attuativi. Quindi senza nessun effetto di tipo retroattivo sulle contestazioni in atto: lo stesso Donzelli, ai microfoni tv, cita l’esempio del concordato preventivo biennale, il cosiddetto interpello fiscale, che origina da un patto fra Erario centrale e cittadino, autonomo o imprenditore, per predeterminare l’ammontare dell’imposta da versare nei due anni successivi, e se ciò non si verifica allora è giusto che il conto possa essere pignorato su ordine delle Entrate alla banca dove è domiciliato il correntista contribuente.
Argomentazioni che appaiono però molto poco convincenti: tanto che il viceministro Leo, pure egli espressione di FdI, ha lasciato intendere che l’obiettivo dei pignoramenti accelerati e automatizzati è quello di portare alla progressiva erosione della “montagna” di 170 milioni di cartelle esattoriali notificate a 22 milioni di italiani per un totale di 1154 miliardi di euro di cui solo il 10 per cento sarebbero però realisticamente portabile all’incasso.
Di più: il provvedimento con cui palazzo Chigi e il MEF vorrebbero introdurre il concetto di fisco amico – figuriamoci se fosse il contrario – prevede l’abolizione della iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento che verranno rimpiazzate da una estensione a dismisura delle casistiche di sanzioni, contravvenzioni e violazioni (incluse quelle al codice della strada) su cui andrà viceversa a operare il temutissimo avviso di accertamento esecutivo, uno dei provvedimenti più impopolari dell’ultimo governo Berlusconi del 2010, che porta la firma dell’allora ministro delle finanze Giulio Tremonti, oggi parlamentare di Fratelli d’Italia voluto da Giorgia Meloni che all’epoca contribuì, come titolare del ministro della gioventù, a dotare di super poteri l’esattore di Stato.
Il viceministro Leo, riferendosi all’annuncio del Senatore e leader di Italia viva Matteo Renzi circa la possibile presentazione di un emendamento soppressivo del pignoramento automatico, ha inoltre tenuto a premettere che simili proposte, di pura soppressione di parti del disegno di legge delega, riceveranno parere negativo e non verranno prese in considerazione né da palazzo Chigi né dalla maggioranza.
Quest’ultima però, su questo così come su altri punti, appare assai meno granitica di come la si vorrebbe lasciare intendere; e non è da escludere che in Commissione finanze l’esecutivo venga messo in minoranza sul tema oggetto di discussioni, circostanza che non sarebbe la prima dal momento che si è verificata altre volte, presso le commissioni parlamentari, su diversi argomenti e materie.
Non per nulla, alla fine, proprio il numero due del MEF si è affrettato a precisare che rimane scontata la disponibilità ad accogliere, se non proposte soppressive tout court, altre che siano migliorative e puntino a dettagliare la delega al Governo per circoscrivere fin d’ora la sfera di applicabilità dei pignoramenti automatizzati e accelerati, rispetto ai quali varranno comunque sempre le prerogative e i diritti del singolo contribuente in quanto a possibilità e margini di ricorso, opposizione, autotutela e rottamazione,l delle cartelle e degli atti di accertamento, sebbene quest’ultima non si tradurrà mai in un condono generalizzato o in una pace fiscale ma al più in una tregua. Praticamente troppo poco per rassicurare i cittadini e le componenti più inquiete della maggioranza.
Unico premio di consolazione, il Governo proseguirà nell’opera di saldo e stralcio e cancellazione delle contestazioni di importo unitario fino a mille euro, cifra ben lontana dai 30.000 ipotizzati dal vicepremier leghista Matteo Salvini come misura dell’asticella da innalzare per fare scattare il condono, e che riduce di moltissimo la platea dei beneficiari se in tale importo vengono inclusi pure gli interessi e le sanzioni. Sanzioni che, per il futuro, Meloni, Giorgetti e Leo vogliono fare scendere dall’attuale 240 per cento massimo a non più del 60 per cento del tributo non adempiuto, secondo la media dell’Unione Europea. Dove però il livello della pressione fiscale è più basso che in Italia.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




