Il Parlamento va in ferie, i guai dell’economia no

0
21

Il Parlamento ha chiuso il rush finale prima delle ferie, ma molti dossier problematici restano aperti. Sono questioni cruciali, che a settembre si intrecceranno con le discussioni sulla Nadef e poi sulla legge di Bilancio

Fisco.
Ieri la Camera ha approvato definitivamente la delega fiscale. Fra le varie misure: riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre, rimodulazione dell’Iva, abbassamento dell’Ires per chi investe e assume. Inoltre, si eliminano le sanzioni tributarie e penali per le imprese che aderiscono all’adempimento collaborativo, un istituto creato dal governo Renzi e volto ad “appianare” le controversie fiscali, che viene aperto anche ai “paperoni” stranieri. L’opposizione ha definito la legge un “regalo agli evasori” e il problema è che non si sa neppure quanto costerà. I conti si faranno a settembre, con i decreti attuativi. Ma ci sarà anche da pensare alla Nota di aggiornamento al Def: il governo rischia di rimanere bloccato sul tema delle “coperture”.

Produzione.
Per il secondo trimestre 2023 era prevista una stagnazione, ma i dati hanno battuto al ribasso le stime, con il Pil che è sceso dello 0,3% rispetto al primo. L’Italia è penultima in Eurozona, peggio fa solo l’Austria (-0,4%). D’altronde l’edilizia è azzoppata dal taglio del Superbonus, i consumi calano (-0,2% le vendite al dettaglio) e anche la produzione industriale non va bene: i dati usciti ieri segnalano una lieve crescita fra maggio e giugno (+0,5%), ma un calo su base annuale (-0,8%). Il quadro potrebbe peggiorare: gli aumenti dei tassi di interesse hanno un effetto ritardato sull’economia e la Bce potrebbe decretarne anche altri.

L’occupazione.
I dati sul lavoro sembrerebbero più rosei. A giugno il tasso di occupazione è salito al 61,5% (+1,1% su base annua). Il tasso di disoccupazione è sceso al 7,4% (-0,8% sull’anno). Il miglioramento, però, è solo apparente. Infatti, se il Pil cala e l’occupazione aumenta, vuol dire che la produttività diminuisce. In parole povere: i nuovi posti di lavoro creati sono in settori poveri e a basso valore aggiunto.

Prezzi.
Ci sono segni che l’inflazione si sta sgonfiando: a luglio è scesa al 6% (-0,4% da giugno) e l’indice del “carrello della spesa” è calato leggermente (dal 10,5% al 10,4%). Il peso sui consumatori, però, rimane elevato: secondo Assoutenti le famiglie stanno tagliando i consumi per 1.075 euro in media. Il governo vorrebbe contenere i prezzi dei beni di largo consumo con un patto “anti-inflazione” fra ottobre e dicembre, ma la proposta si sta rivelando un flop ancor prima di partire. I produttori, la cui partecipazione era considerata “fondamentale”, si sono sfilati dalle trattative. Ieri mattina è stata siglata una lettera d’intenti fra ministero, distribuzione e commercio che impegna le parti a trovare un’intesa entro il 10 settembre. Un rinvio che sa di fallimento: la distribuzione, senza la collaborazione dell’industria, potrà (e vorrà) fare poco. Tanto più che ogni catena dovrebbe decidere da sé il paniere da calmierare.

Rdc.
Il governo non solo lo ha abrogato, ma lo ha fatto in modo disordinato e senza provvedere a un’adeguata rete di supporto. Il Reddito di cittadinanza, se non aveva “abolito la povertà”, aveva comunque allentato la pressione sulle famiglie in difficoltà. A ricevere almeno una mensilità del Rdc erano stati 1,77 milioni di nuclei nel 2021 e 1,68 nel 2022. Alcuni degli ex beneficiari saranno presi in carico dai servizi sociali e potranno accedere al nuovo “assegno di inclusione” (con criteri più rigidi). Fra chi perderà il sussidio, qualcuno potrà avere il Supporto per la formazione e il lavoro, ma la minore capacità di spesa farà calare i consumi (di almeno 3 miliardi, secondo l’ex presidente Inps, Pasquale Tridico): un ulteriore danno a un’economia che già arranca.

ALESSANDRO BONETTI