BCE NON ARRETRA E COMPLICA ANCORA DI PIÙ I PIANI DI PALAZZO CHIGI

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La presidente Christine Lagarde cede ulteriormente ai falchi e all’ala monetarista più ortodossa all’interno del Consiglio direttivo della Eurotower di Francoforte; e in tal modo rende oramai inevitabile la tanto contestata tassazione sugli extra profitti delle Banche commerciali e al dettaglio, sebbene gli ambasciatori nella maggioranza governativa di Giorgia Meloni rimangano all’erta per studiare una serie di eccezioni e deroghe per attenuare l’impatto sui bilanci degli istituti, agevolando quelli a maggiore radicamento territoriale o che detengano una quota significativa di titoli del debito pubblico

Si tratta di una mediazione a cui sta lavorando, dalle parti dei centristi di Forza Italia, il Vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani: sicuramente il più scettico sul metodo con cui, prima della pausa di agosto, palazzo Chigi, per voce dell’altro Vicepresidente del Consiglio e leader leghista Matteo Salvini, ha annunciato il provvedimento volto a tassare l’eccedenza sul cosiddetto margine di interesse desunto dal conto economico.

Pur aprendo a emendamenti anche di merito sulla base imponibile del prelievo straordinario, la Premier Giorgia Meloni ha messo in guardia la propria maggioranza su una circostanza meramente aritmetica: ossia che il saldo finale del tributo, quindi il gettito che esso sarà in grado di procurare alle casse dell’erario statale, non dovrà subire decurtazioni rispetto a una stima di entrata fra i due e i due miliardi e mezzo di euro, vitali e imprescindibili nell’economia di una manovra che, per l’esercizio 2024, necessita di un budget di almeno 30 miliardi fra maggiori proventi e tagli alla spesa per i cosiddetti consumi intermedi della Pubblica amministrazione.

Un cammino reso ancora più impervio dalla decisione assunta nelle scorse ore dalla BCE che, non ponderando forse nel modo dovuto le stime di breve periodo sull’economia reale del vecchio Continente, ha nuovamente posto l’accento sull’esigenza di abbassare ulteriormente il dato relativo all’inflazione tendenziale, sebbene questa rimanga fortemente condizionata da fattori esterni ed esogeni quali il prezzo dei carburanti – causato dalle decisioni del cartello dei Paesi petroliferi Opec – e un ritorno speculativo sulle quotazioni del gas sulla piazza di Amsterdam.

Non solo: nel corso della conferenza stampa in cui nel quartier generale di Francoforte è stato annunciato il passaggio del tasso di sconto, ossia il livello di misurazione del costo del denaro e del credito, dal 4,25 al 4,50 per cento, la presidente Lagarde ha comunicato che il picco degli aumenti non è ancora stato raggiunto, riservando a sé la discrezionalità occorrente a deliberare ulteriori rincari in occasione delle prossime riunioni del Consiglio direttivo della Banca centrale.

Gli effetti, immediati o di breve periodo, di una tale decisione sono obiettivamente evidenti: essi non riguardano solamente una prevedibile e più forte contrazione dei prestiti alle famiglie e alle imprese, in una fase in cui il mercato immobiliare risulta in protratta depressione a causa delle limitazioni imposte a seguito degli eccessi passati del superbonus edilizio al 110 per cento; gli stessi si estendono altresì ai bilanci di quelle società, come appunto le Banche, che detengono in portafoglio un certo quantitativo di titoli del debito pubblico dello Stato, sottoscritti o acquistati nell’epoca del quantitative easing di Mario Draghi e dei tassi negativi o prossimi allo zero, e che, non monetizzando tali obbligazioni per reinvestire in prodotti più profittevoli, ne hanno una minusvalenza e dunque una svalutazione.

È per tale motivo che i segmenti della maggioranza più vicini al Vicepremier Tajani esortano la Premier a tenere conto del ruolo svolto dagli istituti di credito nel calmieramento degli oneri del debito pubblico e di conseguenza nel contenimento dello spread funzionale a non gravare ancora di più sui costi finanziari di Stato, famiglie e imprese.

Più in generale, i provvedimenti della BCE, impeccabili dal punto di vista formale ai sensi della lettera del trattato di Maastricht del 1992, sono la conferma di come anche le istituzioni dell’Unione Europea debbano entrare in una fase costituente dal punto di vista della governance delle politiche economiche sia fiscali che monetarie, tramite un maggiore coordinamento fra le rispettive istituzioni decidenti come accade oltre Atlantico a Washington.

Di questo punto si dovrebbe occupare il prossimo Parlamento della UE, nella consapevolezza di come lasciando irrisolto il problema della governance e dei parametri contabili del 1992, oramai anacronistici, nessun singolo intervento sarà risolutivo delle questioni connesse al sempre più basso livello di competitività e al viceversa sempre più alto indice di dipendenza esterna del vecchio continente.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI