Secondo il parere di autorevoli addetti ai lavori, giuristi e commercialisti, il provvedimento di palazzo Chigi potrebbe incorrere in ricorsi sia per eccesso di delega, poiché il Parlamento è stato poco coinvolto e poco considerato nei pareri (pur non vincolanti) indirizzati al Governo, sia perché il principio di proporzionalità nella comminazione delle penalità monetarie ai contribuenti non viene applicato universalmente ma solo a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova normativa a decorrere dal prossimo imminente primo settembre
Più del programma elettorale poté la necessità di fare cassa con forme di entrata il più possibile slegate dai vincoli del patto di stabilità: una tentazione Comune sia ai governi di centrodestra che a quelli di centrosinistra che si sono susseguiti dal 2005 a oggi; e che, a quanto sembra, non risparmia neppure il vigente governo Meloni sebbene lo stesso avesse inserito nel proprio programma elettorale del 2022 una previsione in merito di portata molto più ampia.
Detta previsione riguardava il capitolo delle sanzioni tributarie, prefiggendosi l’obiettivo di differenziarle in funzione della gravità della violazione contestata o commessa, e di porre fine alla tendenza, adottata Troppo spesso dall’agenzia delle Entrate, a mettere sullo stesso piano le condotte veniali o incolpevoli dei cosiddetti piccoli evasori di necessità, e quelle viceversa dolose messe in atto da compagnie non di rado multinazionali o da specifiche comunità etniche come quella cinese.
Ebbene, dopo circa due anni di operatività del Governo Meloni – Leo, il bilancio dell’attuazione di quanto promesso è a dire poco fallimentare: il decreto delegato, approvato in via definitiva nelle passate settimane dal Consiglio dei ministri, e destinato a entrare operativamente in funzione dal prossimo lunedì, risulta molto depotenziante rispetto ai propositi iniziali più volte enunciati, sia nella campagna elettorale che successivamente, dallo stesso dottore commercialista Maurizio Leo, colui che avrebbe dovuto essere l’uomo di punta di Giorgia Meloni al dicastero del Mef assegnato al leghista Giancarlo Giorgetti, quest’ultimo impegnato a occuparsi più di banche e di saldi macroeconomici che non di questioni di dettaglio di vitale importanza per il popolo dei contribuenti.
Quello che viene contestato a palazzo Chigi è il fatto di avere introdotto una deroga molto grave al principio generale del “favor rei”, in base al quale devono essere applicate le sanzioni di maggior favore al cittadino, a parità di violazione contestata, anche con effetto retroattivo.
Poiché così non si è voluto procedere, rimane sottinteso che la volontà di Meloni e alleati rimane quella di continuare ad agire con il vetusto e obsoleto strumento delle rottamazioni e degli accertamenti esecutivi, utili unicamente ad aumentare i casi di morosità incolpevole e di contenzioso fra lo Stato e la platea dei contribuenti, con inutile dispendio di risorse da entrambe le parti in causa.
Decisamente un pessimo viatico per chi due anni fa esordì a palazzo Chigi con la parola d’ordine del fisco amico. Amico di chi?
Dir politico Alessandro Zorgniotti


