IRPEF E CUNEO NON HANNO SALVATO I REDDITI FAMILIARI: SOLO LA GRECIA PEGGIO DELL’ITALIA

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Mentre il governo Meloni deve fare fronte alla sostituzione di Raffaele Fitto – neo Commissario a Bruxelles con Ursula von der Leyen – e a una successione di scandali che interessano singoli ministri – da Daniela Santanchè a Gennaro Sangiuliano -, gli occhi sono già puntati sulla manovra d’autunno, blindata da palazzo Chigi su un budget lordo di 25 miliardi di euro, che dovrà però fare i conti con l’impatto delle nuove regole fiscali europee

Sembra quasi surreale la vicenda a cui si sta assistendo in queste ore e che riguarda il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, al centro di una vicenda a dire poco opaca di consulenze e collaborazioni prima assegnate e poi revocate o smentite e che potrebbe addirittura mettere a rischio il prossimo imminente G7 tematico programmato a Pompei.

Surreale, poiché gli esponenti dell’attuale Esecutivo dovrebbero essere scevri da distrazioni e concentrarsi unicamente sulla manovra di bilancio per il 2025. E ciò per almeno due ordini di ragioni: la non sufficienza di base delle misure su aliquote Irpef e cuneo fiscale contributivo, che saranno reiterate assorbendo nel merito la quasi totalità della futura legge di stabilità; e la verifica della esatta quantificazione degli effetti delle regole contabili (ex fiscal compact) da pochi mesi in vigore a livello europeo per il contrasto degli alti livelli di deficit e di debito in proporzione al PIL.

I redditi reali delle famiglie italiane sono in calo, come certificato da Eurostat, l’istituto pubblico di statistica dell’Unione Europea, che partendo da un’asticella media di 100 colloca al di sotto di essa il nostro Paese e, sull’ultimo gradino della classifica, la Grecia.

Questo significa che, sebbene la legge di stabilità tutt’ora vigente abbia concentrato, per volontà politica, la totalità degli sgravi fiscali e contributivi sui redditi da lavoro e da pensione fino a 35.000 euro, tali provvedimenti non sono bastati a salvaguardare né tantomeno a rilanciare un potere d’acquisto falcidiato dagli alti prezzi dei generi di prima necessità, dall’impennata delle spese fisse obbligate (casa e sanità) e dalle svalutazioni patrimoniali che, erodendo gli stock immobiliari e del risparmio, hanno ridimensionato i valori di quelle rendite che normalmente forniscono entrate integrative di vitale importanza.

Giorgia Meloni, consapevole delle scosse telluriche politiche destinate a ripercuotersi sul governo per le situazioni soggettive di suoi ministri ed esponenti, sembra pertanto decisa a puntellare l’impianto della manovra azzerando di fatto la possibilità, per la maggioranza, di presentare emendamenti al testo che verrà adottato da palazzo Chigi, e presentato in via preliminare alla Commissione di Bruxelles per la validazione degli obiettivi.

Anche perché si tratta di misurare gli effetti della prima applicazione della revisione ex novo del patto di stabilità appena vigente, il quale prevede regole fiscali inedite e adempimenti prima non previsti per esempio in termini di documentazioni di respiro annuale e pluriennale da produrre. Secondo le proiezioni che sono state calcolate dagli addetti ai lavori, la necessità di conseguire un più elevato avanzo primario, al netto della spesa per il finanziamento del debito pubblico, imporrebbe di vincolare risorse fino a 12 miliardi annui con l’obiettivo di ridurre il fabbisogno statale da finanziare. Ciò significa che alla concessione di benefici Irpef e Inps dovranno coincidere delle riduzioni da apportare ai flussi correnti di determinati capitoli di spesa che non potranno essere del tutto bilanciati dai fondi del PNRR, i quali a propria volta formano un importo a debito che l’Italia dovrà restituire a Bruxelles a partire dal 2027.

PNRR che aprirà ulteriori rebus, soprattutto a seguito delle dimissioni necessitate di Raffaele Fitto che si appresta a volare a Bruxelles nel ruolo di vicepresidente esecutivo della Commissione von der Leyen bis, con delega proprio alla gestione dei ratei residui dei piani nazionali di ripresa e resilienza dell’Italia così come degli altri Paesi comunitari assegnatari, per un totale di 700 miliardi di portafoglio. Giorgia Meloni avocherà per il momento a sé le deleghe di Fitto, con la speranza che non dimentichi che quest’ultimo, nel nuovo ruolo, rappresenterà l’intera UE e non più Roma.

Dir politico Alessandro Zorgniotti