Diciotto anni fa, il 15 settembre del 2006, si spegneva nella sua casa di Firenze Oriana Fallaci, scrittrice, giornalista e reporter di guerra che continua a far parlare. A suscitare in egual misura polemiche e riflessioni. Se dovessimo stilare una lista dei giornalisti e delle giornaliste più letti al mondo, il nome di Oriana Fallaci sarebbe in cima.
Era diventata celebre per il suo stile diretto e frontale, senza peli sulla lingua lo avrebbe definito lei, con cui intervistava i potenti della Storia. Interviste strutturate come se fossero interrogatori. Da Henry Kissinger, artefice della politica estera di Nixon all’ayatollah Khomeini, il leader iraniano che ha fondato la Repubblica islamica in Iran; passando per Gheddafi, Andreotti, Pahlavi, Nenni, Arafat, Berlinguer, insomma leader, capi di stato e capi di partito, che hanno fatto la Storia del secondo dopo guerra, sono passati attraverso la scomoda esperienza di farsi intervistare e diventare oggetto della penna della Fallaci.
Amata e odiata in egual misura, controversa e divisiva per il suo rifiuto di sottostare all’autorità, per la sua lotta incessante contro ogni forma d’ideologia, di qualunque colore fossero, anche in vecchiaia ha infiammato i dibattiti per via delle sue posizioni contro l’Islam. Nel bene e nel male ha portato avanti le sue idee anche quando erano in netto contrasto con l’opinione pubblica. Parlare di Oriana Fallaci e ripercorrerne la vita non significa soltanto riflettere sull’evoluzione del giornalismo italiano, ma significa affrontare di petto questioni come democrazia, libertà, sicurezza, religione, ideologia.
«A diciassette anni fui assunta come cronista in un quotidiano di Firenze. E a diciannove o giù di lì fui licenziata in tronco (…). Mi avevano ingiunto di scrivere un pezzo bugiardo su un comizio d’un famoso leader nei riguardi del quale, bada bene, nutrivo profonda antipatia anzi avversione(..). Pezzo che, bada bene, non dovevo firmare. Scandalizzata dissi che le bugie io non le scrivevo, e il direttore (…) rispose che i giornalisti erano pennivendoli tenuti a scrivere le cose per cui venivano pagati. “Non si sputa nel piatto in cui si mangia”. Replicai che in quel piatto poteva mangiarci lui, che prima di diventare una pennivendola sarei morta di fame, e subito mi licenziò.»
Si era fatta strada in una società dominata principalmente da figure maschili, e forse a ciò doveva la sua verve, ma iscrivere l’odissea della Fallaci nella corrente del femminismo è riduttivo. Da bambina Oriana entra far parte della Resistenza: porta di nascosto munizioni ai Partigiani. Il padre, Edoardo Fallaci, antifascista iscritto fin da giovanissimo al Partito Socialista, aveva subito coinvolto la figlia nei suoi ideali. Poi fu arrestato e torturato dalle camicie nere. E da quel momento l’odio per i regimi autoritari l’ha accompagnata per tutta la vita.
Scriverà nella prefazione alla sua Intervista con la Storia: «Che provenga da un sovrano dispotico o da un presidente eletto, da un generale omicida o da un leader amato, vedo il potere come un potere disumano e un fenomeno odioso: ho sempre considerato la disobbedienza verso gli oppressori come l’unico modo per sfruttare il miracolo di essere nato».



