Oggi c’è una emergenza educativa: si chiama analfabetismo emotivo

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Video terribili di una violenza inaudita, immagini a luci rosse, pedo-pornografiche, scritte inneggianti a Adolf Hitler, Benito Mussolini, all’Isis e frasi choc contro migranti ed ebrei: se li mandavano ragazzini minorenni, appena tredicenni o poco più, che avevano creato un gruppo su whatsapp dal nome terrificante: “The Shoah party”.

Tanti ragazzini nel tempo sono entrati e usciti dal gruppo ma nessuno ha avuto la coscienza di denunciare: per loro era quasi una prova di maturità vedere immagini raccapriccianti. Questo orrore è stato scoperto solo perché una madre ha avuto il coraggio di denunciare. Gli altri genitori tacevano. Dice il colonnello che indaga: “I ragazzi sono di famiglie normali, figli di professionisti, tutti incensurati.

Ma qual è la “normalità” delle famiglie?
I sentimenti non si trasmettono per via genetica ma si apprendono con l’educazione e la cultura. Cioè nessuno nasce emotivamente competente e ci vuole tempo per diventarlo. I genitori sono tra i principali autori nella costruzione delle “mappe emotive”.

Oggi c’è una emergenza educativa: si chiama analfabetismo emotivo. Si tratta di una carenza emozionale, un inaridimento della persona, che rende incapaci da un lato di provare immedesimazione e compassione verso gli altri, dall’altro di riconoscere e controllare le proprie stesse emozioni. E’ un’instabilità emotiva che genera scatti d’ira, un’apatia affettiva che genera noia e porta a ricercare stimoli forti. Un’incapacità di valutare la sofferenza che le nostre azioni possono procurare agli altri, come se fossero scisse dal contesto sociale e relazionale. Dobbiamo aiutare i figli fin da piccolissimi a sentire nel profondo la differenza fra bene e male, tra giusto e ingiusto. In un mondo dove tutto è normalmente consentito, non conoscono più il confine tra lecito e illecito, tra una cosa che è reato e un’altra che non lo è. La violenza è ovunque: il limite tra quella virtuale dei videogiochi e quella reale è indefinito per troppi.

Dare un cellulare ai figli è un evento che cambia significativamente le loro opportunità e le loro relazioni. Attraverso lo smartphone i nostri figli accedono a un mondo completamente nuovo per loro e molto stimolante, senza conoscerne le strade, i pericoli, le regole, e quindi difficilmente lo possono decodificare, interpretare, senza l’aiuto dell’adulto … insomma senza essere forniti di manuale con le istruzioni per l’uso!
La frase classica che dicono i genitori: “quando mio figlio è davanti al computer o allo smartphone non si vede e non si sente” e questo in verità vuol dire che quando è davanti al computer riesco a non occuparmene … e invece i figli hanno bisogno di essere pensati proprio in questi frangenti.                     Paolo Sarti