Oggi compie 89 anni un uomo al quale devo tanto.
Devo a lui le prime immagini della NBA che sono apparse sul vecchio Mivar di mia nonna.
Devo a lui le prime parole in inglese che ho imparato: “frog splash”, “body slam” e “suplex”.
Devo a lui la conoscenza della città più importante degli Stati Uniti: Chattanooga, nel Tennesse.
Devo a lui le sette doghe del letto spezzate per provare a giocare a Slam Ball in casa.
Devo a lui la scelta di non aver mai sanguinato davanti agli squali.
Devo a lui la prima volta che feci commuovere il mio allenatore: in contropiede mi fermai in lunetta e feci arresto e tiro.
Devo a lui il mio odio per i tè Ati, Twinings, San Benedetto ed Estathè.
Devo a lui la conoscenza del teorema matematico secondo il quale una squadra può recuperare tanti punti di svantaggio quanti sono minuti che mancano alla fine.
Devo a lui la scoperta del ruolo esatto di Kyle Hines, ossia pivot bonsai.
Devo a lui il timing perfetto col quale mia madre ha sempre buttato la pasta.
Devo a lui le lacrime che ho versato quando ha cantato e suonato “Jingle Bell Rock” negli studi di Sportitalia ai tempi della NBA gratis in tv.
Devo a lui quel modo unico, divertente, competente, magico, col quale mi ha fatto innamorare del basket e non solo.



