In una politica normale De Luca starebbe a casa

0
14

in un mondo politico normale, Vincenzo De Luca dovrebbe essere già a casa da tempo ed espulso dal suo partito. Invece, è in campo per un terzo mandato, continua ad agitarsi convulsamente e a ricattare il Pd.

È incredibile come la sorte personale di un esponente regionale possa condizionare a tal punto la politica italiana e la principale forza di opposizione. Mentre Elly Schlein ribadisce con coerenza la sua posizione contro i cacicchi, nel suo partito è incominciata la gara a chi propone a De Luca contropartite per farlo recedere dal proposito di presentarsi comunque alle elezioni anche contro il Pd. Una mediazione masochistica è stata messa in campo in questi giorni da Bersani, Ricci, Bonafoni, con parole elogiative del ruolo del tirannello campano, auspicando un ripensamento del figliuol prodigo.

Certo, se le pretese di De Luca non si fossero incrociate con i rapporti tesi tra Meloni e Salvini, tra la richiesta di Fratelli d’Italia di scalzare i rappresentanti della Lega dalla guida di alcune regioni del Nord (in particolare il Veneto di Zaia), la vicenda sarebbe rimasta una questione interna al Pd. Ma mentre la Lega procede compatta a difendere Zaia e i suoi feudi elettorali del Nord, ultimo avamposto di un partito in disarmo, nel caso di De Luca si è innescata una lotta politica dentro il Pd che ha al centro questioni non secondarie per la politica e per la sinistra: il governo locale può essere a vita? La clientela politica può rappresentare l’identità del Pd nel Sud? Chi abusa del proprio potere può sfidare impunemente un’intera comunità politica? Si può trasformare una regione in un regno? Le regioni sono esentate dal rispetto delle leggi nazionali? Perché i prepotenti godono di tanta considerazione?

Isaia Sales