De Gasperi alla vaccinara

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Sin da subito, nel tardo pomeriggio di ieri, le reazioni all’incontro Trump-Meloni alla Casa Bianca mi sono sembrate un tantino sopra tono.

Anche dall’opposizione (di stampa e parlamento) i complimenti si sono sprecati. In alcuni casi pelosi, visto che probabilmente servono a chi li ha fatti a sovrastimare i risultati ottenuti a parole per poi poter colpire più duramente in caso nessun risultato al programmato incontro di Roma. Certo, c’è una notevole differenza, dai tempi in cui, subito dopo la seconda guerra mondiale, andavamo a Washington a chiedere aiuti al potente neoalleato americano.

Nel 1947, Alcide De Gasperi volò negli USA su un aereo traballante, con la benzina finita alle Azzorre e un discorso in inglese ripetuto a mezz’aria, per chiedere letteralmente il pane a Truman. Settant’anni dopo, Giorgia Meloni atterra a Washington su un jet di Stato, pronta a negoziare dazi e gas con Trump, dove il suo trionfo è… non essere stata insultata in conferenza stampa. Ecco un parallelo surreale tra due epoche, dove l’eroismo si misura in assenze di figuracce e gli aiuti economici si trasformano in like diplomatici.

De Gasperi, atterrato in America, rimase sconvolto dal vassoio della colazione in hotel: yogurt, croissant e una frittatina per una sola persona. «Papà, hanno sbagliato, questo è per due!», gridò la figlia Maria Romana, abituata al pane biscottato del dopoguerra. Meloni, invece, ha probabilmente trovato un cappuccino artigianale e un avocado toast, ma il suo “successo” è stato evitare che Trump twittasse contro di lei durante l’incontro. Se per De Gasperi l’abbondanza americana era un miracolo, per Meloni è bastato non finire nel mirino dei meme.

De Gasperi ottenne un assegno da 100 milioni di dollari dopo giorni di silenzi imbarazzanti, quando Truman gli consegnò i fondi solo all’ultimo, convinto dalla sua integrità antifascista. Meloni, invece, ha strappato una promessa di visita di Trump in Italia e una ipotesi di dialogo sui dazi in quella occasione, rinnovando la tradizione di host (senza rilievo politico internazionale effettivo), inaugurata dal Berlusconi degli anni d’oro.

Ma il vero trofeo? Aver evitato epiteti come “parassita” o “incompetente”, destino toccato a leader come Zelensky o il premier irlandese. Oggi, non essere umiliati vale quanto un prestito miliardario.

Marco Di Salvo