In un recente servizio televisivo, Le Iene hanno raccontato una realtà che sta diventando sempre meno marginale: uomini e donne che si fidanzano con intelligenze artificiali
Non parliamo di semplici chatbot, ma di compagni digitali costruiti su misura: disponibili, affettuosi, sempre presenti. Un fenomeno che spinge a riflettere: Cosa accade quando iniziamo a scegliere relazioni “perfette”, create sulla base dei nostri desideri, anziché confrontarci con l’imprevedibilità dell’altro?
L’illusione della perfezione
Creare una fidanzata (o un fidanzato) virtuale significa modellare l’altro sulla propria immagine, eliminando il conflitto, l’incomprensione, la fatica del compromesso. L’intelligenza artificiale, programmata per confermare, assecondare e rassicurare, risponde a un bisogno profondo: essere amati senza rischi.
Ma in questa dinamica emerge una domanda cruciale: se l’amore diventa un prodotto su misura, resta davvero umano?
L’impatto psicologico e relazionale
Le relazioni reali richiedono impegno, ascolto, presenza emotiva. Sono complesse, a volte frustranti, ma profondamente trasformative. Quando ci si abitua a interazioni in cui l’altro non pone limiti né confini, si rischia di perdere la capacità di tollerare l’imperfezione e la differenza.
Nei più giovani – ma non solo – questa abitudine può compromettere lo sviluppo di competenze relazionali fondamentali: empatia, regolazione emotiva, gestione del rifiuto.
Sostituzione o compensazione?
L’IA può offrire conforto a chi vive solitudine, lutti, traumi affettivi. In alcuni casi può rappresentare un ponte temporaneo verso un’elaborazione del dolore. Ma quando diventa la scelta stabile, sostituendo le relazioni umane, la riflessione si fa urgente.
Una relazione sana non è costruita sulla perfezione, ma sulla possibilità di affrontare e accettare l’altro nella sua autenticità.
Il rischio di una società narcisistica
Se ci relazioniamo solo con intelligenze che ci rispecchiano, ci confermano e non ci mettono in discussione, alimentiamo una visione narcisistica del legame. L’altro non è più un soggetto con desideri propri, ma un oggetto funzionale al nostro benessere.
L’intelligenza artificiale, in questo senso, rischia di rafforzare una cultura individualista e autoreferenziale, allontanandoci dal senso profondo della relazione: la crescita attraverso l’incontro con la diversità.
Conclusioni aperte
La domanda non è solo tecnologica, ma profondamente umana: che idea di relazione stiamo costruendo?
Possiamo usare l’intelligenza artificiale come risorsa, ma dobbiamo essere consapevoli dei limiti, dei rischi e delle derive.
L’amore non si programma. Si costruisce, si attraversa, si vive.
Con l’altro, non con la sua copia perfetta.
Dott.ssa Klarida Rrapaj Psicologa ,Criminologa Esperta in Vittimologia



