Ogni volta che un bambino viene escluso, umiliato o isolato per decisioni prese da adulti, non è solo una scelta sbagliata: è una ferita emotiva. E spesso, un atto di violenza psicologica
La scuola dovrebbe essere un luogo di protezione, crescita, ascolto. Dovrebbe essere il primo ambiente – dopo la famiglia – in cui ogni bambino si sente accolto, riconosciuto, sostenuto. E invece, sempre più spesso, si assiste a episodi in cui l’istituzione scolastica tradisce questa missione, punendo bambini per motivi che nulla hanno a che fare con loro.
Li si allontana, li si esclude, li si umilia, rendendoli bersaglio di un potere adulto esercitato senza empatia né discernimento.
Siamo davanti a un abuso educativo silenzioso, travestito da norma, regolamento o prassi amministrativa. Ma nella sostanza, si tratta di violenza psicologica.
La scena che si ripete
Un bambino viene fatto uscire dalla classe. Gli si impedisce di partecipare alla mensa o a un’attività collettiva. Viene isolato, identificato, etichettato. Il messaggio implicito è devastante: “Tu non sei come gli altri. Tu non meriti.”
E questo accade davanti agli occhi dei compagni, nel pieno di un’età in cui il bisogno di appartenenza è fondamentale per lo sviluppo emotivo. L’atto educativo, in questo caso, si trasforma in una punizione pubblica che mina l’autostima, la fiducia negli adulti e la sicurezza affettiva.
Che cosa accade nella mente del bambino?
Quando un bambino subisce un’umiliazione pubblica, si attivano emozioni intense e durature:
• Vergogna profonda, che può radicarsi nella sua identità e condizionare il modo in cui si percepisce.
• Ansia e paura legate al contesto scolastico, con possibile rifiuto della scuola.
• Senso di ingiustizia che può evolversi in rabbia repressa o sfiducia nell’adulto.
• Isolamento sociale, soprattutto se l’episodio lo rende oggetto di scherno o pietà da parte dei coetanei.
A livello neurologico ed emotivo, il cervello del bambino registra questi momenti come eventi traumatici minori, ma ripetuti, capaci di generare un impatto a lungo termine sull’equilibrio psicologico.
Educare non significa esercitare potere
L’errore più grave che un educatore possa fare è quello di usare l’autorità come strumento di punizione emotiva. Ogni insegnante, dirigente, operatore scolastico ha il dovere etico e professionale di proteggere il minore, non di colpirlo con decisioni che lo fanno sentire escluso, sbagliato, inferiore.
Quando la scuola “fa fuori” un bambino, anche solo simbolicamente, lo priva di un diritto essenziale: quello di sentirsi al sicuro nel luogo in cui cresce.
Violenza psicologica istituzionale: di cosa stiamo parlando
Spesso si usa il termine bullismo solo per i comportamenti tra pari. Ma anche gli adulti possono diventare autori di bullismo, in forma sistemica e invisibile. Si tratta di violenza psicologica istituzionalizzata, quando un’istituzione utilizza il proprio potere in modo umiliante, discriminante, escludente.
E non basta dire che “è il regolamento”, che “non c’erano alternative”. Il principio pedagogico fondamentale è che nessuna norma può valere più della dignità e del benessere psicologico di un bambino.
Le responsabilità dell’adulto e dell’istituzione
• Il dirigente scolastico ha il compito di garantire che ogni azione amministrativa sia rispettosa del minore.
• Gli insegnanti hanno la responsabilità di proteggere il gruppo classe da dinamiche escludenti.
• Le famiglie hanno il diritto e il dovere di segnalare ogni comportamento che ledere la dignità del proprio figlio.
Ogni azione educativa dovrebbe passare da questa domanda: “Quello che sto facendo protegge o ferisce?”
Il silenzio è complicità
È ora di sollevare il velo su queste prassi normalizzate che, in realtà, rappresentano forme di abuso psicologico legittimate dal sistema scolastico. Il bambino non è responsabile delle scelte degli adulti, e ogni atto educativo che dimentica questo principio è un fallimento morale, prima ancora che professionale.
Chi educa ha il potere di costruire o distruggere. E scegliere di ferire, anche nel nome di una regola, significa tradire l’essenza stessa dell’educazione.
Dott.ssa Klarida Rrapaj
Psicologa, Criminologa, Esperta in Vittimologia


