Cinque referendum dietro l’angolo, ma non lo sa nessuno. Zero informazioni sulla Rai, zero virgola sulle tv private, sulle radio, sui giornali. Ed ecco allora la notizia: li voteremo — o almeno dovremmo — l’8 e il 9 giugno, fra un mese. In coincidenza con il secondo turno delle amministrative, che coinvolgono 461 Comuni.
E perché non, invece, il 25 maggio, insieme al primo turno? Ovvio: perché il primo turno, storicamente, è sempre più affollato. Hai visto mai, qualche elettore in più potrebbe scoprire la notizia e magari deporre nell’urna la sua scheda.
Ma in realtà tutta la storia di questo istituto di democrazia diretta è scandita da ostacoli e trucchetti. E tutti i governi, di destra o di sinistra, di centro o di lato, ne hanno sempre sabotato l’attuazione. Non a caso gli italiani dovettero attendere un quarto di secolo prima d’incassare la promessa dei costituenti (la legge istitutiva è del 1970, il primo referendum fu celebrato nel 1974).
Da allora in poi il voto popolare è stato frodato ripetutamente, come nel caso della consultazione sul finanziamento pubblico ai partiti (abrogato nel 1993 dal 90% dei votanti, ma subito riesumato sotto mentite spoglie dai partiti). È stato confiscato, ricorrendo allo scioglimento anticipato delle Camere pur di rinviarlo alle calende greche (accadde nel 1972, nel 1976, nel 1987, nel 1994). Infine è stato prosciugato, organizzando l’astensione per fare mancare il quorum di validità del referendum (celebre il caso della fecondazione assistita nel 2005).
Michele Ainis


