L’ Amleto di Trump

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Se c’è qualcosa di certo è che il capitalismo ha bisogno di distruzione e ricostruzione perché arriva sempre il momento in cui le prospettive di accumulazione del capitale vengono meno, mettendo in crisi il sistema e la stessa antropologia su cui si regge

Nel pensiero marxiano questo viene teorizzato come caduta tendenziale del saggio di profitto, perché strutturalmente arriva il momento in cui si riducono le opzioni di investimento. A quel punto solitamente si rimedia con la distruzione, ovvero con la guerra oppure con l’apertura di nuovi territori di caccia che talvolta sono effettivamente disponibili e coerenti come lo è stata la crescita dell’informatica per almeno quattro decenni, oppure creati ex nihilo: non c’è alcun dubbio che in questi anni siano esattamente a questo punto, prima con la pandemia, poi con il conflitto ucraino, con lo choc delle orribili vicende medio orientali e con le fantasticherie di Net Zero che tendono tutte a sostituzioni produttive per azzerare capitale ormai inerte e ricominciare l’accumulazione.

Tuttavia in questo caso tale logica interna del capitalismo si interseca con altre difficoltà e in pratica con il fatto che l’economia occidentale, ma quella americana in particolare, si è strutturata come economia di consumo, sorretta da un dollaro a sua volta garantito dalla potenza militare. Si tratta di un sistema finanziarizzato che non poteva certo durare in eterno e oggi, anche se ha garantito per molto tempo una stabilità sociale, non è più sostenibile a causa dei debiliti accumulati.

Ha tuttavia anche disgregato quel vantaggio tecnologico accumulato dalla rivoluzione industriale in poi, grazie all’esternalizzazione della manifattura e a tutte le conseguenze a cui ciò porta sul piano progettuale e persino cognitivo. Per cui la pressione e la minaccia della forza è diventata sempre più debole e meno credibile, sfiorando il ridicolo nel caso dell’Europa che vuole azzannare la Federazione russa, non avendo i denti.

A questo punto è chiaro che bisogna far saltare il banco e cercare altre strade per evitare che la crisi dell’economia di consumo e della finanza che sorregge le proprie spire su un nucleo sempre più piccolo di valore reale, si trasformi in una grave crisi geostrategica. Trump è in certo senso la risposta a questa situazione, anche se ovviamente non si sa se le sue formule, peraltro variabili e ondivaghe, saranno efficaci, ma di certo costituiscono un colpo a quel corpo ideologico che si è costruito negli anni attorno al capitalismo della finanza che va sotto il nome complessivo di globalismo. La cosa più interessante e più preoccupante è che tuttavia la guerriglia contro di lui non ha soluzioni da offrire se non la continuazione di un gioco che non può più essere portato avanti, E si capisce bene perché: le élite di comando hanno una forte resistenza a decostruire un’ideologia elitaria.

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