Salvatore Cernuzio – Chulucanas, Perù
Un Cristo “campesino”, una scultura in bronzo con in testa il sombrero e vanga e falce a formare la croce, si staglia nel cielo terso de La Encantada. Sormonta, quasi come se la vegliasse, un’altra statua: un uomo, un artigiano, che modella con le proprie mani lo stesso crocifisso e altre figure. Cagnolini, vasi, donne. Le rivoluzioni, la Teologia della Liberazione e tutti i loro simboli qui c’entrano poco; è piuttosto un omaggio, il Cristo, ai tanti ceramisti e contadini che abitano questo sobborgo alla periferia di Chulucanas, nord del Perù, agglomerato di case e capanne, terra di povertà e stregoneria, dove i residenti sono tanti quanti gli asini e i cani randagi. In quel volto sofferto del Figlio di Dio c’è il dolore di tanti lavoratori ai margini del perimetro sociale, in quella falce e in quella vanga ci sono il sudore e la fatica per «mandare avanti la baracca».
Che, nel caso de La Encantada, non è solo un modo di dire ma una triste realtà: quella di riuscire a sopravvivere in casupole che si reggono in piedi per miracolo sotto il sole scottante e le piogge battenti e sfamare giornalmente famiglie numerose.
Famiglie che non perdono la gioia di vivere, come dimostrano i cartelloni che annunciano la festa di compleanno di una bimba, celebrata rigorosamente per strada insieme a tutto il vicinato.
Ai piedi del Cristo “campesino”
Gli abitanti di Chulucanas indicano La Encantada come uno dei punti «assolutamente da vedere»: «Ci siete stati, no?». Tuttavia, oltre alla suggestiva statua di Gesù, al centro di un marciapiede che fa da spartitraffico alle due vie di botegas di ceramica, c’è poco da visitare. La Encantada è punto di attrazione perché lì padre Robert Francis Prevost, oggi Papa Leone XIV, al tempo giovane missionario appena approdato in Perù, vi si recava spesso. Si racconta che si fermasse a lungo ai piedi della scultura: a pregare, a riflettere, forse a interrompere un attimo il circuito di pensieri ed emozioni nel trovarsi in una terra totalmente diversa per sentito sociale ed ecclesiale rispetto agli Stati Uniti.
L’inizio della missione
Nella cittadina di Chulucanas, nella regione di Piura, distante un’ora di macchina, dove si scherza sul fatto che ci sono solo due stagioni «l’invierno e l’infierno» in riferimento al forte caldo, il trentenne Prevost fu mandato come missionario dal suo Ordine di appartenenza, quello agostiniano. Ci restò due anni, nel 1985 e 1986, tre dopo essere stato ordinato sacerdote e mentre preparava la tesi di dottorato. In quegli anni il borgo peruviano, dove è profonda e radicata la fede cattolica dei suoi abitanti (alla Messa domenicale nella Catedral della Sagrada Familia mettono le sedie fino alla piazza tanto è ampio l’afflusso di fedeli), da prelatura territoriale veniva elevata a Diocesi con la bolla Quoniam praelaticia di Giovanni Paolo II.
Serviva allora qualcuno in gamba che si occupasse degli aspetti canonici, oltre che di quelli pastorali.
Fu scelto Prevost, accolto con favore dalla gente del luogo e subito fatto sistemare nel caratteristico Vescovado, a pochi metri dalla Plaza de Armas, in una stanzetta arredata da un letto con la copertina a quadri, un comodino, un armadio di legno, un’icona della Madonna.
È facile immaginare quali e quanti sentimenti abbiano abitato il cuore di quel giovane durante questo cambio radicale. La fede, la semplicità del vivere, l’accoglienza calorosa – la stessa che si riserva ad ogni turista di passaggio in città – del popolo di Chulucanas hanno fatto sentire padre Roberto a suo agio. Da subito iniziò a girare per le zone vicine, Chapica Campanas, Pacaipampa, Chalaco Morropón, a incontrare la gente, a partecipare a pranzi e cene nelle case dei parrocchiani.
“Vicino alla gente, lottava per la gente”
Elena Lozada, «segretaria di tre vescovi» come dice in tono di vanto, ha una memoria vivida di quel periodo. Lei, figlia di un diacono permanente, è stata «tra le prime» a conoscere il futuro Papa. È corsa da casa, presentandosi con un abito comodo e leggero e le ciabatte, appena saputo che i media vaticani stavano ripercorrendo le tracce della missione dell’agostiniano eletto Pontefice. Non poteva non dare la sua testimonianza e condividere i suoi ricordi di questo «giovanotto umile e meraviglioso».
Tra le mani robuste, Elena stringe una foto di «Roberto» seduto alla tavola di casa sua. «Era un uomo vicino alla gente, viveva per la gente e lottava per la gente. Mangiava con noi, ci incontrava tutti».
E «il suo messaggio – scandisce la donna – non ha bisogno di molte parole, perché lo proclama con il suo atteggiamento».


