Gaza, tra ostaggi e guerra: la storia da scrivere con l’umanità, non con la forza

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“Non c’è altra scelta che occupare completamente la Striscia e sconfiggere Hamas. Metterà sicuramente in pericolo gli ostaggi. Ma dobbiamo decidere la storia a Gaza, e non c’è altra via”

Le parole pronunciate dal ministro israeliano della Cultura e dello Sport, Miki Zohar, nel corso di un’intervista a Canale 12, risuonano forti, drammatiche, definitive. Sono parole che aprono un bivio, e al tempo stesso sembrano chiuderlo: quello tra la forza e la diplomazia, tra la sicurezza e la vita, tra la strategia e l’umanità.

È difficile restare indifferenti di fronte a una simile dichiarazione. Soprattutto quando, accanto alla parola “occupazione”, si affianca la consapevolezza esplicita che ciò metterà a rischio vite innocenti, ostaggi che da mesi vivono nel silenzio angoscioso del conflitto. È un dilemma che tocca nel profondo ogni coscienza: può una strategia militare giustificare, in modo preventivo, la possibilità di perdere vite già spezzate dalla prigionia?

Il linguaggio della forza e quello della speranza

“Dobbiamo decidere la storia a Gaza”, ha detto Zohar. Ma chi può davvero decidere la storia se non la volontà collettiva di salvare vite, di costruire il futuro, di riconoscere la sofferenza di tutti?

L’occupazione totale della Striscia appare, per alcuni, l’unico modo per cancellare l’incubo del terrorismo. Ma per molti altri, è un passo che rischia di spegnere anche l’ultima scintilla di speranza per milioni di civili palestinesi, già esausti, affamati, feriti nel corpo e nell’anima.

Ogni parola pronunciata dai leader ha un peso. E ogni strategia ha un volto umano che ne pagherà il prezzo.

Ostaggi e civili: vite da salvare, non da sacrificare

Nel cuore di questa crisi ci sono persone. Ostaggi, bambini, anziani, madri, soldati, padri. Non numeri, ma vite. In mezzo alla rabbia, al dolore e alla paura, è fondamentale che la priorità resti quella di proteggere chi non ha più voce, chi è ostaggio del conflitto, chi aspetta la pace come unica via di sopravvivenza.

Dove finisce la legittima difesa e dove comincia l’inevitabile sofferenza di innocenti? È questa la domanda che la comunità internazionale non può smettere di porsi.

La diplomazia come dovere

Non esiste una pace vera che nasca solo dal dominio militare. Esiste invece una responsabilità storica, comune a tutti: quella di continuare a cercare soluzioni, anche quando sembrano irraggiungibili. La diplomazia, pur fragile e lenta, resta l’unico ponte possibile verso una convivenza duratura.

La storia che si scrive oggi a Gaza non riguarda solo Israele e Palestina. Riguarda il futuro della dignità umana, della convivenza tra i popoli, della pace come valore universale. E sarà giudicata non dalla potenza del fuoco, ma dalla misura dell’umanità che sapremo conservare.

Cav. Giuseppe Prete
Cancelliere Europa
World Organization of Ambassadors (OME)