Attualmente ancora più che in passato è essenziale, per condurre una analisi corretta delle dinamiche internazionali, comprendere la differenza tra le variabili indipendenti e non, che operano in un contesto complesso e fortemente strutturato. Nel corso delle primavere arabe, il malcontento popolare albergava nei Paesi del Nord Africa da tempo, ma ha costituto un fattore in grado di destabilizzare le società soltanto quando la politica neoconservatrice statunitense ha deciso, con finanziamenti e organizzazione, di puntare sui Fratelli Musulmani per una forma di dominio più solida rispetto ai dittatori tradizionali. In Egitto la defenestrazione di Mubarak, l’elezione di Morsi, in seguito abbandonato da Washington a vantaggio dell’attuale presidente Al Sisi, è la rappresentazione evidente della strategia ondivaga che ha sede a Washington.
Ugualmente la guerra civile in Siria non sarebbe scoppiata, seminando lutti e dolore in quel popolo per circa un decennio, se Obama nel 2015 non avesse deciso, con l’Operazione Sycamore e d’accordo con i servizi segreti sauditi, di utilizzare le fisiologiche proteste anti-Assad come fattore di destabilizzazione della società siriana. Ricordo che all’epoca ero in Svezia e restavo allibita nell’osservare la bella intellighenzia del Paese che aveva d’obbligo un libro in tasca contro il pericolosissimo dittatore Assad.
Sicuramente gli Assad, soprattutto il padre, avevano commesso crimini e favorito il loro potere alawita con la repressione. Non diversamente da ciò che molti dittatori nostri alleati hanno sempre fatto. Oggi la politica occidentale sostiene Al Jolani, che ha spodestato gli Assad e compie stragi di alawiti con l’appoggio della democratica Europa e degli Usa.
Elena Basile


